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Home/ Psicotecnologie e Processi Formativi - Uninettuno/ Group items matching "lineare" in title, tags, annotations or url

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Mauro De Merulis

tecnoteca.it - Multimedialità  e Ipertesti - 8 views

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    La mente dell'uomo non concepisce le idee in forma definita e completa: sono piuttosto il frutto di una progressiva elaborazione, che si svolge per selezione e collegamento tra idee diverse, che contribuiscono alla definizione della linea di pensiero.
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    Un'altra figura di grande importanza è Theodor Holm Nelson, laureato in filosofia, nato nel 1937 ed è considerato il più visionario, il più inventivo tra i personaggi. Il suo sogno è uno strumento universale attraverso il quale si può accedere alle informazioni. E' lui l'inventore delle parole ipertesto ed ipermedia. Era il momento in cui lavorava in Giappone ad un progetto di nome Xanadu (la città dell'utopia). Nelson ha un punto di partenza, da un lato è molto critico nei confronti dello sviluppo dell'informatica e dall'altro ipotizza la totale accessibilità alle informazioni. Il progetto Xanadu prevede tre parole chiave (immagine 3): connessione, archiviazione, accessibilità. Per connessone si intende la possibilità di connette alla rete una quantità infinita di utenti; per archiviazione si intende la possibilità di registrare le informazioni ed infine la connettività riguarda la facilità di accesso alle informazioni. Il progetto di Nelson non riguarda solo i "testi letterali" propriamente detti ma tutto ciò che è scritto. Nelson non si è preoccupato solo di progettare Xanadu ma anche di risolvere i problemi (immagine 4): per Nelson un problema fondamentale è la scomparsa delle informazioni, quindi occorre una grande capacità di memorizzazione. Inoltre ci deve essere la possibilità di memorizzazione delle opere. Se il progetto prevede una cooperazione generale ciò deve permettere anche la possibilità di modifica delle opere stesse Nelson con Xanadu pensa di aumentare la capacità produttiva e creativa degli utenti. Un testo ipertestuale è un modello che non segue una sequenza lineare come un libro non lineare, ma un insieme di collegamenti all'interno dello stesso testo o tra testi diversi. Ipertestualità vuol dire perdita di un centro, si perde anche il concetto di autorità all'interno del testo e lo stesso lettore può diventare autore del testo. A questo concetto è legato il concetto di interattività, vale
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    La mente dell'uomo non concepisce le idee in forma definita e completa: sono piuttosto il frutto di una progressiva elaborazione, che si svolge per selezione e collegamento tra idee diverse, che contribuiscono alla definizione della linea di pensiero.
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    E' un articolo interessante e anche in parte convincente. Quello che io però mi chiedo è: ma davvero funziona un modo di insegnare fatto così? Non è rischioso, soprattutto ad un livello iniziale di apprendimento? Per quanto la "linearità" di un modo tradizionale di insegnare sembri meno efficace (perchè diversa sarebbe stata anche l'antica modalità orale), noi impariamo a leggere gradualmente. Lo stesso nostro modo di approcciare le nuove tecnologie viene da un modo di pensare strutturato dalla "lezione" che segue la modalità lineare. Ad A segue B e poi C. La stessa multitestualità è pensata e strutturata in maniera lineare, a mio avviso. Certo, l'apprendimento non è lineare, ma a balzi ed è vero che la mente umana funziona in maniera non sequenziale. Ma questa non sequenzialità è personale, non data da qualcuno o qualcosa di esterno. Sono io che mi creo i miei collegamenti. Se lo fa qualcuno da fuori, è comunque (a mio avviso) sempre una sequenzialità di informazioni. Solo che questa sequenzialità è data dal mio cercare prima una cosa e poi un'altra. E' una fittizia rete. La vera rete me la creo poi io, nel mio cervello. Io temo che questa "rete" sia pericolosa per l'apprendimento, soprattutto, come dicevo all'inizio, per chi è al livello più elementare dell'apprendimento. Sai cosa mi ha detto un amico medico cinese? Noi occidentali non siamo in grado di vedere l'aura delle persone, perchè nessuno, quando eravamo bambini, ci ha insegnato a coltivare questa capacità. Per la sua generazione (ora ha 55 anni) era normale che, se un bambino vedeva l'aura, questa facoltà venisse coltivata. Come uno che ha un buon orecchio musicale. Niente di eccezionale, ma neppure da non considerare. Ecco quindi che molti adulti vedono l'aura delle persone. Quello che voglio dire è che noi veniamo educati comunque a "leggere" la realtà da quello che i nostri educatori (genitori, parenti, insegnanti, altri bambini) fin da piccoli ci inculcano, perchè così vedon
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    "La mente umana funziona in modo non-sequenziale: gli stessi artifici narrativi che la letteratura ha sviluppato possono essere visti come delle scappatoie dall'appiattimento dell'ordine sequenziale."
Davide Bassignana

Rete, apprendimento e "pensiero lineare" Il punto di vista delle neuroscienze - 3 views

http://doppiozero.com/rubriche/82/201211/rete-apprendimento-e-%E2%80%9Cpensiero-lineare%E2%80%9D Segnalo questo interessante articolo sull'apprendimento e epensiero lineare. Penso che includa bene...

multitasking apprendimento pensiero lineare affabulazione

lorenzarossi

Mente Ipertestuale - 17 views

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    La logica ipertestuale, connettiva, reticolare, multi-sequenziale, si offre come terreno fertile se si intende coltivare quella "testa ben fatta" (e non ben piena), auspicata da Edgar Morin nella sua omonima opera sulla riforma dell'insegnamento e del pensiero. È impossibile, infatti, non cogliere delle evidenti analogie tra la suddetta logica ipertestuale e le modalità connettive di pensiero connaturate nella mente umana.
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    Cosa intendeva Morin con la sua espressione : "Una testa ben fatta (e non una testa ben piena)"? Innanzitutto l'importanza di saper collegare, estrapolare, dedurre dalle informazioni offerte dall'ambiente : in una parola utilizzare in maniera creativa le capacità logiche, come ci viene dimostrato da questo breve saggio
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    Interessante analisi su mente e logica ipertestuale, forme attive di pensiero, interconnessione, ipertesto e sull'importanza di quanto queste nuove tecnologie possano influire positivamente sullo sviluppo cerebrale e sulla capacità della mente di creare interconnessioni logiche.
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    La logica ipertestuale, connettiva, reticolare, multi-sequenziale, si offre come terreno fertile se si intende coltivare quella "testa ben fatta" (e non ben piena), auspicata da Edgar Morin nella sua omonima opera sulla riforma dell'insegnamento e del pensiero. È impossibile, infatti, non cogliere delle evidenti analogie tra la suddetta logica ipertestuale e le modalità connettive di pensiero connaturate nella mente umana.
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    #Multitasking http://www.luca-mercatanti.com/2008/11/14/generazione-multitasking/ Si, siamo diventati una generazione multitasking ormai. Stiamo lavorando al computer, stiamo scrivendo su un foglio di calcolo, all'improvviso ci squilla il cellulare, magari con l'ultima canzone del nostro gruppo musicale preferito che abbiamo scaricato 2 minuti prima mentre stavamo masterizzando un gioco, leggiamo l'SMS che ci è arrivato, il quale ovviamente è da decifrare a causa di tutte le centinaia di abbreviazioni inserite, poichè per risparmiare si cerca sempre di non superare i 160 caratteri. Mentre rispondiamo al nostro SMS ci interrompiamo qualche secondo per scrivere qualcosa al nostro amico su Msn, oppure via e-mail. Riprendiamo in mano il cellulare e riusciamo finalmente a inviare il nostro SMS. Dopo aver ascoltato la suoneria del nostro cellulare ci viene voglia di ascoltare qualche canzone di quel gruppo musicale, quindi entriamo su YouTube e iniziamo a guardarci dei video. Accidenti però… Sulla destra ci sono dei video correlati! Diamoli una occhiatina, anzi no, prima finiamo di ascoltare la nostra canzone preferita mentre cerchiamo di completare il foglio di calcolo. Nel frattempo è arrivato un nuovo SMS e il giro ricomincia, solo che adesso c'è di mezzo anche YouTube. Ci ricordiamo inoltre che dobbiamo caricare delle foto su Flickr e scrive anche un nuovo articolo per il nostro Blog… E qui si va in paranoia. Accendiamo quindi un altro computer, magari il portatile di lavoro e dopo esserci collegati ad Internet iniziamo a uplodare i vari file. Mentre il nostro laptop inserire le foto su Internet ritorniamo all'altro computer per poter finire finalmente il foglio di calcolo. Ancora qualche minuto, altre telefonate, altre conversazioni tenute in chat e finalmente ci siamo riusciti. In 10 minuti siamo riusciti a fare 20 cose contemporaneamente. Siamo diventati una generazione multitasking. Approposito… Mentre scrivevo questo articolo ho tenu
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    L'idea di ipertestualità, in realtà, risale alla prima metà del novecento, anche se le prime implementazioni avvengono nella metà degli anni sessanta. Nel 1945 il fisico Vannevar Bush pubblicò l'articolo "As we may think" nel quale si poneva la questione di come possiamo orientarci in mezzo all'enorme quantità di informazioni e di conoscenze che ci circondano. La mente umana funziona per associazioni, cioè in forma non lineare e non sequenziale, seguendo un modello completamente diverso da quello logico sequenziale della scrittura alfabetica, e perciò non è in grado di "trattenere" tutte le informazioni, c'è necessità di una macchina che possa supportare o addirittura sostituire la nostra mente. Nasce così l'idea del Memex . nel 1960 Nelson segue la visione di un sistema di "idee interconnesse" che fa riferimento a qualsiasi tipo di dato, è la sua idea di literacy: "con un ipertesto possiamo creare nuove forme di scrittura che riflettano la struttura di ciò che noi scriviamo e i lettori possono scegliere percorsi diversi secondo le loro attitudini o del corso dei loro pensieri in un modo finora ritenuto impossibile".
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    Interessante articolo di approfondimento "Mente e computer: la logica ipertestuale e il pensiero complesso"
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    ipertesto è un insieme di testi o pagine, leggibili con l'ausilio di un'interfaccia elettronica; è costituito da tante pagine che a loro volta sono collegate tra loro da collegamenti ipertestuali (hyperlink o rimandi). A differenza di un testo tradizionale, l'ipertesto non è lineare e quindi leggendolo, si può passare liberamente da una pagina all'altra attraverso l'ausilio dei link ma, lungo il percorso, ci si può anche perdere. Se l'ipertesto viene pubblicato "in rete", per non appesantire il caricamento delle pagine, è consigliabile utilizzare i thumbnails (immagini di piccola dimensione). Ciascun thumbnail, successivamente viene "collegato", attraverso un link, all'immagine di dimensioni originali (più grandi). Una delle caratteristiche più interessanti di un ipertesto è quella di poter essere sempre "in costruzione" e quindi sempre aggiornato e innovato (tempo permettendo !!!! ;) inoltre permette di creare essere facilmente costruito a più mani quindi in modocollaborativo . Come abbiamo già detto, i collegamenti possono essere chiamati anche link e sono punti di unione tra più pagine. Quando con il mouse ci si sposta sopra un collegamento, il cursore del mouse si trasforma in una manina. Cliccando su un link ci si può spostare da una pagina all'altra. http://www.hyperfvg.org/fvg/ipert_main.html
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    Un confronto tra le logiche ipertestuali e le modalirà connettive del pensiero (ovvero: come le tecnologie informatiche potenziano gli strumenti cognitivi).
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    Si tratta di un articolo che presenta la tesi di laurea "Mente e computer: la logica ipertestuale e il pensiero complesso". (Per chi fosse interessato, è possibile registrarsi, contattare l'autore, scaricare la tesi in pdf, cercarne di simili). Si concentra sull'attribuzione di significato, sulle "forme attive di pensiero" di cui parla Edgar Morin, favorite dal carattere ipertestuale delle informazioni: occorre strutturare propri percorsi per "nessi" non essendo appunto lineari, e tutto questo grazie all'interattività intrinseca alle tecnologie in rete. Questo significa operare delle sintesi, costruire significati, elaborare informazioni, appropriarsi dei contenuti, operare delle scelte.
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    Davvero interessante la tesi di Angelica Vecchiarino. Viene a essere completamente superato il principio della linearità del pensiero. Il pensiero può essere nutrito ma non riempito di contenuti, In tal modo il pensiero diventa la fonte organizzativa della conoscenza che si serve dei contenuti per creare associazioni tra gli stessi. A proposito delle associazioni di idee e di conoscenze: i Surrealisti come Breton, Max Ernst e Dalì avrebbero saccheggiato tutte queste idee e le avrebbero rielaborate. Ma queste nuove idee appartengono a un'epoca molto lontana ormai dalle ricerche sul linguaggio onirico...e, d'altra parte qui non si tratta di attività inconscia, ma cosciente. Tuttavia mi piaceva fare riferimento a queste suggestioni del passato.
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    Dalla tesi di Angelica Vecchiarino; 1) Il principio sistemico ed organizzazionale: ossia la capacità di legare le parti al tutto (tendendo sempre presente che il tutto è più ma anche meno della somma delle parti); 2) il principio ologrammatico: il paradosso della complessità per cui il tutto è inscritto in ogni singola parte (per cui anche la società è presente negli individui); 3) dell'anello retroattivo: contro la logica della causalità lineare, ogni causa è anche effetto e viceversa; 4) dell'anello ricorsivo: gli uomini producono la società mediante le loro interazioni, ma la società in quanto globalità emergente produce l'umanità di questi individui portando loro il linguaggio e la cultura; 5) dell'autonomia/dipendenza, gli esseri umani sviluppano la propria autonomia dipendendo dalla cultura; 6) dialogico: l'unione di principi che a prima vista paiono elidersi a vicenda, o essere in completa antitesi: vita/morte; ordine/disordine ecc.; 7) della reintegrazione del soggetto conoscente in ogni processo di conoscenza: ogni conoscenza è una ricostruzione, una traduzione da parte di una mente/cervello in una data cultura e in un dato tempo (Ivi).
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    Articolo molto interessante...
alfonsina longobardi

Il multitasking - 4 views

Il multitasking è un modo di processare l'informazione, dedicando le risorse di sistema per eseguire contemporaneamente diversi lavori passando da un contesto all'altro. Questa possibilità operativ...

started by alfonsina longobardi on 12 Mar 13 no follow-up yet
Romina Mandolini

La Natura dell'Intelligenza - 3 views

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    In linea generale, possiamo definire l'intelligenza umana come quella facoltà che consente di conoscere la realtà in cui siamo immersi e di interagire con essa a diversi gradi e livelli. Sulla natura di questa la scienza non è ancora unanime, poiché sono troppi e complessi gli interrogativi che essa suscita. L'Intelligenza non è il risultato di un'analisi lineare della realtà, ma il prodotto di una pluralità di strategie cognitive che integrano più livelli di analisi, in funzione della complessità di ciò che ci troviamo a dover affrontare. Per riuscire in questo si serve del raziocinio, delle emozioni e di tutti quegli strumenti tipicamente animali, come memoria, impulso, sensazione, istinto, che questa combina per il raggiungimento dei suoi scopi, secondo schemi organizzati così complessi che ancor'oggi sfuggono a una costruzione teorica univoca. Gli studi sull'Intelligenza artificiale e i numerosi successi non hanno fatto altro che evidenziare ancora di più i divari sostanziali che permangono tra i processi cognitivi umani e quelli artificiali. Non è stato ancora possibile catturare l''intelligenza umana all'interno di un algoritmo, per la troppa complessità delle gerarchie di intrecci, dei fattori che vi concorrono. Tuttavia, questa complessità sotto altri aspetti ha aperto nuove possibilità, in quanto ha permesso ad alcuni studiosi di mostrare cosa l'intelligenza di certo "non era". I lavori di Howard Gardner, i suoi studi sull'intelligenza multipla e i contributi di Daniel Goleman con la sua intelligenza emotiva, hanno contrapposto all'idea riduzionista, meccanica e semplicistica dell'intelligenza, una rinnovata concezione che tenesse conto delle complesse interazioni tra mente e uomo, tra mente e mondo.
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    Alcune considerazioni conclusive: Daniel Goleman con i suoi studi sull'intelligenza emotiva: http://www.humantrainer.com/articoli/recensione-libro-intelligenza-emotiva.html Ha avuto il merito di aver portato all'attenzione del dibattito scientifico, la valenza delle emozioni in quanto strumenti di indagine della realtà individuale e sociale, ambito ritenuto esclusivo del raziocinio. Mostrandone il valore, ha fatto si che esse si trasformassero da agenti perturbanti del pensiero razionale, in un potente strumento di conoscenza. Howard Gardner con le sue teorizzazioni sull'intelligenza multipla: http://education.jhu.edu/PD/newhorizons/future/creating_the_future/crfut_gardner.cfm ha restituito una realtà molto più articolata, strutturata e organica, che nella sua concezione ha saputo conciliare unicità individuali, aspetti socio-culturali (contesto) e interazioni dei singoli. A questo proposito risultano molto interessanti le sue intuizioni su quella che lui chiama, Intelligenza distribuita, che ben si riallacciano alle teorizzazioni di De Kerckhove, sull'intelligenza connettiva e Levy sull'intelligenza collettiva: http://zope.unimc.it/elphd/Members/Emifor/Intelligenza%20connettiva.rtf Secondo questa concezione dell'intelligenza, nell'attività cognitiva individuale ogni idea ridefinisce conoscenze acquisite dal passato e nello stesso tempo apre prospettive inedite per il futuro, cui si connettono altri individui che a loro volta, rinnoveranno con i propri contributi, la rappresentazione che ci facciamo del mondo e della realtà. Questo processo di scoperta, di partecipazione collettiva, che non ha nulla a che fare con il collettivismo che come noto fa prevalere il gruppo sul singolo, può essere visto come l'Anima mundi dei filosofi platonici, ciò che in poche parole accomuna l'intera umanità attraverso il valore di ogni singola specificità.
astrobaldo

esercizi di psicotecnologie - 2 views

ESERCIZI DI PSICOTECNOLOGIE Psicotecnologie definizione Branca della psicologia generale che s'interessa dell'aspetto cognitivo delle tecnologie come il linguaggio. Le psicotecnologie indaga...

started by astrobaldo on 02 Jul 24 no follow-up yet
Anna Sposato

Aspetti cognitivi dei videogiochi - Www.aesvi.it - 6 views

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    Un videogioco non è solo un passatempo ma è anche un linguaggio e quindi un approccio cognitivo. Qui emerge l'approccio cognitivista, dal momento che molti teorici del settore già in tempi non sospetti affermavano che determinati linguaggi non sono semplicemente strumenti da applicare o usare bensì mondi «immersivi», nei quali l'utente si trova ad agire come se si trovasse in un «ambiente fluido», un pò come noi utilizziamo Second Life...
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    Si i videogiochi da tempo sono usciti dalla categoria di mero "passatempo". In molti casi le persone trovano in questa dimensione ludico-virtuale modi di esistere. E' un processo di reificazione dove, attraverso modelli matematici molto complessi (computer graphics), la realtà viene ridefinita e reinventata. Recentemente in una pubblicità di videogiochi mi sono accorto che nello spot era utilizzato il termine "realtà aumentata". La pervasività dei videogiochi è in continuo aumento, ormai ogni telefonino ne ha diversi nel suo interno, questa facilità di accesso favorisce sempre più la dissolvenza del confine tra dimensione ludica e dimensione reale.
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    Facendo qualche ricerca sul web, ho scoperto che un gioco di brain training verrà testato negli Usa per capire se è possibile paragonarlo a una terapia medica. Lo scopo è quello di certificarlo per aiutare chi soffre di schizofrenia. Ma, ovviamente, alcuni scienziati sono perplessi. Presto verranno avviati i primi test di controllo per verificare se è davvero possibile equiparare gli effetti di un videogioco a quelli di una terapia farmacologica. Brain Plasticity vuole infatti arruolare 150 persone affette da disturbi cognitivi in 15 diversi stati e invitarli a giocare con il suo software per un'ora al giorno al di fuori dei fine settimana. Dopo sei mesi di prove, nel caso i partecipanti riscontrassero dei miglioramenti nella qualità della vita, il centro di ricerca farà quindi domanda alla Fda per ottenere la commercializzazione come prodotto terapeutico. La caratteristica chiave dei software terapeutici, sarebbe quella di aiutare chi soffre di schizofrenia a superare le difficoltà di apprendimento e sviluppo della memoria comportate dal disturbo. L'obiettivo di Brain Plasticity è quello di capire se qualche ora di attività di fronte allo schermo di gioco possa fare meglio delle terapie a base di farmaci. Un tentativo affatto facile, visto che non tutta la comunità scientifica ritiene che i videogame possano essere utili in questi casi.
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    Come risulta da questa rassegna bibliografica, un videogioco non solo un passatempo ma anche un linguaggio e dunque, in definitiva, un approccio cognitivo.
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    Trovo molto interessanti le ricerche che si stanno facendo in direzione dell'utilizzo terapeutico dei video giochi. Come esposto nell'articolo postato da Silvia ci sono ancora molti pregiudizi nei confronti dei video giochi. Greenfield sostiene che chi critica i videogiochi lo fa perché non è capace a giocarci, insomma un po' la storia della volpe con l'uva. Esiste una certa ideologia che l'articolo definisce "anacronistica" da parte di chi è cresciuto e si è formato attraverso una cultura alfabetica che rende molti accademici restii ad accettare i videogiochi. Le ricerche, al contrario, provano che i videogiochi promuovo la capacità di pensiero parallelo rispetto a quello lineare che a sua volta aiuta a sviluppare empowerment nei suoi fruitori ovvero capacità di flessibilità e autonomia nel raggiungere i risultati, inoltre, a contraddire chi sostiene che i videogiochi limitano le capacità senso motorie, è stato dimostrato che il videogioco allena la capacità coordinativa occhio-mano. I bambini sono più attratti dalle immagini in movimento che da quelle statiche di conseguenza il videogioco è preferito ad altre modalità ludiche. La caratteristica del videogioco è la sua interattività e permette a chi ne fruisce di sentirsi al contempo spettatore e protagonista. È indubbio che il videogioco induce ad uno stato di trance che porta facilmente ad alienarsi dalla realtà circostante lasciandosi immergere dal mondo virtuale, si tratta però, a detta degli autori, di uno "psicofarmaco democratico" in quanto chi lo utilizza lo fa volontariamente ed è protagonista attivo. La televisione, a detta degli autori dell'articolo, sarebbe un mezzo molto più pervasivo ed ipnotico del videogioco. Personalmente concordo con questa visione in quanto la televisione può essere altamente manipolatoria e tende a presentarti una realtà già costruita e interpretata alla base.
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    Ciao, ho due figli, maschi, ormai grandi, che ho seguito in ogni forma di gioco, dai classici con le macchinine, con le Lego, con gli animali, i cosiddetti "giochi intelligenti" e via dicendo, siamo approdati ai giochi su tv quando il grande aveva 8 anni, e ho notato come fosse estremamente più bravo di noi adulti a trovare le soluzioni, provava, sbagliava, si ricordava l'errore, riprovava, con una pazienza meticolosa, cosa che forse gli adulti non hanno. Il piccolo ha iniziato a 3 anni a giocare con la tastiera del pc, intanto il fratello ne aveva 10, e ho potuto notare la velocità di acquisizione del piccolo, rispetto al grande...Che dire, non bisogna demonizzarli, secondo gli studi, anzi, permettono di aumentare le capacità in zone che non vengono sollecitate. I giochi moderni poi hanno storie avvincenti, in cui provarsi, finito una volta, si può ricominciare, per sondare altre strade. Alcuni film si basano sui videogiochi, e posso dire che perfino l'ultima serie televisiva "Da Vinci's Daemons" ricalca nella musica, costumi e storia un episodio di Assassin's cread", gioco che io stessa ho provato e assicuro che è bello. Inoltre posso ricordare che gli stessi piloti utilizzano questi mezzi per l'esperienza a terra...
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    In effetti fino ad oggi sono emersi due filoni di studio concentrati sull'aspetto cognitivo relativo ai videogiochi o su quello emozionale ma relativo più che altro alla demonizzazione legata ai giochi violenti o all'aspetto della separazione sociale del bambino/ragazzo che si immerge per ore nel mondo virtuale. La catarsis theory citata nell'articolo mette in luce l'azione liberatoria sul mondo emotivo del bambino, che rivive i sentimenti nel mondo virtuale. C'è da notare che una nuova area di studio si focalizza sul fatto che i ragazzi che sviluppano una certa dipendenza dai videogiochi (sembra secondo le stime più del 50% dei giovani fruitori) vivono un'importante alienazione dalle proprie emozioni, proiettate solo all'esterno ma non vissute in prima persona; nonché un'alienazione dal mondo reale, spesso deludente sia in termini di presenza affettiva familiare, sia in termini di prospettive sociali in grado di accogliere i ragazzi e aiutarli a sviluppare un'adeguata percezione del sé nel futuro.
Mariana Mariggio

...Le psicotecnologie! - 0 views

started by Mariana Mariggio on 03 Mar 13 no follow-up yet
Sonia Grazzini

Multi-tasking e velocissimi. Così è mutato il cervello dei bambini nativi digitali - 4 views

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    L'evoluzione tecnologica non è riferita solo alla parte meccanica ma sembra che oggi sia abbinata anche a quella umana dove assistiamo come nei film di fantascienza più spinti ad una mutazione genetica che va di pari passo con quella tecnologica. Infatti per la prima volta sentiamo parlare di bambini multitasking o adolescenti touch screan che pensano ed agiscono su più dispositivi contemporaneamente a differenza delle generazioni della fiine degli anni 90 che invece agiscono in monotasking.
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    L'articolo è divertente vero i bambini sono più aperti alle nuove tecnologie e hanno Affordances nuove es utilizzare il cursore tondo dell'ipod non è faticoso o difficile. Ma secondo me c'e' un prezzo molto alto ovvero non solo non si accetta la fatica ma il voglio tutto e subito porta i bimbi ad essere troppo strutturati e nel non saper inventare i giochi (per quanto ne so per la generazione anni '70 ) bastavano due pentole e un pò di posate di legno per giocare o delle mollette per fare astronavi, Il problema si hanno la possibilità di concentrarsi su più dispositivi senza fatica ma mi domando i tempi attentivi ? Quanto in realtà si concentrano su un tema. Vero il pensiero ipertestuale e veloce supera il pensiero lineare ma non c'e' il rischio di perdersi ? non credo che le mutazioni siano biologiche quanto sociali ed educative. da un lato le nuove tecnologie aprono nuovi sviluppi e possibilità ma dall'altro credo tocca sempre tenere presente che ogni scelta a mio dire comporta una rinuncia e il non esserne consapevoli può portare in futuro non solo al divario di gente con un gap generazionale ma anche il rischio di avere una generazione che va tanto veloce che, personalmente, credo che rschino di perdersi qualcosa per strada.
Bruno Matti

Psicologia del multitasking - 6 views

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    "Siamo in costante multitasking "Workload is unavoidable [...] Distraction is unavoidable [...] You must learn to dance among many tasks" (Allen, 2003). Nella maggior parte delle situazioni quotidiane, anche quando non ci facciamo caso, ci troviamo in condizioni di multitasking (1). Gestire la grande quantità di stimoli e richieste che provengono dall'ambiente è sicuramente molto difficile, tuttavia, dedicarsi a più attività piuttosto che concentrarsi su un unico compito sembra essere diventato un fatto naturale. La sensazione che solitamente si prova è quella di poter gestire meglio gli impegni, evitando noia e ripetitività. L'impegno continuo in attività multiple è consentito dalle tecnologie informatiche e della comunicazione, che favoriscono il multitasking. L'interazione con la tecnologia, in primis nei luoghi di lavoro, rende possibile lo svolgimento di attività differenti attraverso espedienti tecnologici e grafici sempre più raffinati. Ad esempio, la possibilità di mantenere aperte contemporaneamente molte finestre nel desktop, che rappresenta il primo sviluppo del paradigma della direct manipulation (Schneiderman, 1998), consente di eseguire allo stesso tempo numerose attività differenti. Tuttavia, l'utilizzo che si fa oggi delle finestre multiple è così imponente che rischia di diventare un ostacolo che frammenta l'attività anziché supportarla. Le finestre multiple, ma anche i messaggi di notifica, le e-mail e i programmi per la messaggeria istantanea (2) se da una parte favoriscono il multitasking e alimentano l'impressione di efficienza rendendo più facile gestire diversi compiti, d'altra parte possono avere effetti fortemente negativi. Ad esempio, Gonzalez e Mark (Gonzalez e Mark, 2004) hanno stabilito che gli impiegati negli uffici non riescono a rimanere concentrati nella stessa attività per più di tre minuti consecutivi prima di essere interrotti da una telefonata, un'e-mail, o da un collega. Evidenze come que
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    Telefonate, e-mail, messaggi, documenti digitali, news on line: gli uffici si stanno trasformando in maniera sempre più prepotente nella palestra dove allenarsi a gestire attività multiple accompagnate da interruzioni continue. L'ingresso delle tecnologie informatiche nella vita quotidiana e soprattutto nei luoghi di lavoro rende il multitasking una condizione onnipresente, di cui tutti abbiamo esperienza.
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    Telefonate, e-mail, messaggi, documenti digitali, news on line: gli uffici si stanno trasformando in maniera sempre più prepotente nella palestra dove allenarsi a gestire attività multiple accompagnate da interruzioni continue. L'ingresso delle tecnologie informatiche nella vita quotidiana e soprattutto nei luoghi di lavoro rende il multitasking una condizione onnipresente, di cui tutti abbiamo esperienza.
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    Un recente studio ha dimostrato inoltre che il MULTITASKING è FONTE DI STRESS PIU' PER DONNE CHE PER UOMINI. Perchè le donne non solo sono costrette a occuparsi contemporaneamente di piu' cose, le donne subiscono anche molto piu' degli uomini le conseguenze di una giornata affollata di compiti da portare a termine. A dimostrarlo e' uno studio pubblicato dall'American Sociological Review, secondo cui a fare la differenza non e' la quantita', ma il tipo di impegni di cui le donne si devono occupare ogni giorno. Lo studio ha stabilito che le mamme lavoratrici passano circa 10 ore in piu' ogni settimana in attivita' ''multitasking'' rispetto ai papa' che lavorano. E mentre per i padri il multitasking e' un'esperienza positiva, per le madri e' motivo di stress e genera emozioni negative. Secondo Shira Offer, autrice principale della ricerca, ''l'impegno dei padri nei lavori domestici e nella cura dei figli dovrebbe aumentare ulteriormente''.
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    Vorrei spostare l'attenzione daggli studiosi al quotidiano. Nasco e vivo come molti in mondo in costante e rapido sviluppo tecnologico con una diffusione di informazioni, spesso un sovraccarico oserei dire, altrettanto veloce, al punto tale che quanto in questo momento è "news" due minuti dopo è ormai storia... Tutto sembra in apparenza piu' semplice, cadono le barriere spazio-tempo, i nuovi media diventano davvero l'estensione dei nostri sensi... tutto corretto, ma ci sono come in ogni cosa i pro e i contro e forse l'adozione della politica del giusto mezzo appare anche in questo caso la migliore. Come gestire questa grande mole di informazioni dalle quali siamo bersgliati e certamente non in grado di coglierle tutte spesso nella loro complessità? Da un lato è facilmente ormai saziabile il desiderio di approfondimento (e ben venga) dall'altro si corre anche il rischio di non approfondire nulla, di conoscere "un po' di tutto" lasciando spazio alla superficialità. La comunicazione, le informazioni seguono determinate logiche e frequentemente il multitasking puo' davvero diventare quell'elemento di disturbo che impedisce ad un messaggio di giungere nel pieno del suo significato, dall'altra parte la costante evoluzione della tecnologia, un mondo del lavoro radicalmente cambiato rendono indispensabile una flessibilità che ci consenta di gestire piu' situazioni/informazioni contemporanee.... si potrebbe quasi ipotizzare l'inizio di una nuova evoluzione dell'uomo che va nella direzione di menti flessibili e con grandi capacità di attenzione e memoria perchè chi vive l'attuale situazione tecnologica, chi non riuscirà a gestire quello che nel post precedente è stato descritto, sarà negli anni tagliato fuori... come una sorta di selezione naturale, vediamola così. Sono processi inevitabili ai quali non ci si puo' opporre, nè tantomeno trovo corretto lasciarsi andare alla banalità e surrealtà della frase "i buoni vecchi tempi andati".... sicuramente pero', quel
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    @stefania, concordo con te! In questo scenario dove nella lettura gli ipertesti (che hanno sostituito le note a piè di pagine, che consentono approfondimenti ma che rischiano di distrarre l'attenzione del lettore), nella vita di tutti i giorni siamo sempre stimolati da un quantiotativo di informazioni enormi, alla fine risulta utile "staccare la spina"... questo il senso... Detto cio' non possiamo certamente essere anacronistici ma occorre guardare in prospettiva con una vision piu'' ampia.... svolgere piu' attività contemporaneamente è scientificamente dimostrato che determina calo di attnzione, su due argomenti contemporanei la nostra mente è come se si dividesse in due e così procede, per divisioni successive sul altre attività che eventualmente si aggiungono! Occorre davvero imparare l'arte della politica "del giusto mezzo" in questo contesto per non rischiare di perdere di vista quanto davvero dobbiao fare e portare a termine.
Giovanni Finizio

Effetti dell'alfabeto greco sulle attività cerebrali - 10 views

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    Ho pensato di fare cosa gradita a tutti proponendo questo articolo, redatto da un nostro collega studente, che spiega l'argomento della scrittura verso destra o verso sinistra e la lateralizzazione del cervello, trattate nella prima lezione del nostro corso. Purtroppo la traduzione dall'inglese ha reso un pò complicata la spiegazione del Prof. De Kerckhove, ed ho trovato per questo molto utile rileggere l'argomento da questo sito, che sembra molto chiaro. Inoltre sono estremamente efficaci le immagini del chiasma ottico e delle differenti funzioni degli emisferi cerebrali, che permettono di fissare in maniera ancor più immediata i concetti spiegati.
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    Se spiegasse anche perchè influisce su spazio e tempo sarei a cavallo :)
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    La spiegazione neurofisiologica che viene data per spiegare le diversità culturali a partire dalla scrittura è uno degli argomenti che ho trovato più stimolanti del corso di psicotecnologie. Interessante l'articolo
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    Grazie Giovanni, ci voleva un'articolo del genere che avevamo già trattato nel corso ma non era stato spiegato molto bene. Mauro, la scrittura influisce sul modo in cui percepiamo lo spazio. Per es.se tu devi prendere la misura di una cosa (un armadietto per es) lo misuri da sinistra a destra, che è anche la direzione della nostra lettura, mentre un arabo misura da sinistra a destra perché legge in quella direzione! la cosa più strana è che questa cosa l'ho vista di persona l'anno scorso in un cantiere a Riyadh (lavoro per un architetto come interprete e a volte viaggio con lui) dove c'era questo carpentiere arabo che prendeva delle misure ed il suo modo di farlo mi era sembrato strano, ma ho pensato "paesi diversi-usanze diverse". Solo ora capisco che la direzione della lettura in un certo senso ordina il nostro spazio. Il tempo invece viene visto di solito in modo periodico/puntiforme nelle culture orali (primavera, raccolta...etc) mentre la scrittura dà un senso di continuità anche al tempo (puoi scrivere nel tuo diario tutti i giorni il che ti da un senso che la vita è una cosa continua non puntiforme anche se può avere una forma puntiforme: compleanno, battesimo, anniversario). Con l'alfabeto le persone possono anche pianificare il futuro. E con l'arrivo dell'internet il tempo e lo spazio come se non esistessero più, perché uno può rivedere/rivivere in un certo senso cose vecchie o nuove, puoi leggere cose scritte 100 anni fa oppure (pezzi di ) cose che verranno pubblicate in futuro. Spero di esserti stata utile!
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    E' davvero molto interessante! e soprattutto utile :-) quindi tutto dipende dalla nostra conformazione cerebrale... Leggendo quest'articolo mi viene un dubbio cosa succede in quei soggetti che ad esempio hanno l'emisfero sinistro dominante per la decodificazione delle sequenze e quindi per i processi di lettura? (che ricerche hanno dimostrato esistere)???
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    Mauro, il post di Biljana è utilissimo a chiarire il dubbio che ti era sorto (ma credo che fosse sorto a tutti) sull'influenza della scrittura sulla percezione di spazio e tempo. Ho anche trovato un articolo molto interessante, che approfondisce e chiarisce meglio questa tematica, e che ho pubblicato qui su Diigo: "Linguaggio e pensiero: spazio, tempo e lingue".
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    Forse per capire ancora meglio, mi permetto di parlare del brainframe di de Kerchove, una teoria che presenta un'analisi del rapporto fra le tecnologie e le esperienze percettive a iniziare dai cambiamenti avvenuti con il passaggio dall'oralità alla scrittura. Eì possibile affermare che l'alfabeto è sicuramente il brainframe più importante perché è quello che ha pervaso e formato nel modo più massiccio e duraturo la mente. Quando impariamo a leggere, proprio l'alfabeto influenza i rapporti che abbiamo con lo spazio e il tempo, cioè definisce l'essere stesso dell'uomo e il suo rapporto con il mondo. Il brainframe indotto dall'alfabetizzazione influenza il modo in cui organizziamo i pensieri, la lettura porta il nostro cervello a classificare e combinare l'informazione esattamente come facciamo con l'alfabeto. Pertanto, il brainframe alfabetico diciamo che funge da cornice a qualsiasi attività relativa al mentale e al pensiero, cioè condiziona il nostro modo di vedere e pensare il mondo. L'adozione della scrittura ad andamento destrorso del mondo occidentale, ha portato ad una struttura mentale analitica, impostata secondo criteri di temporalità e di successione lineare, cronologicamente determinabile. Diversamente, la scrittura sinistrorsa, invece, quella dei paesi di cultura araba, richiede una visione sintetica, orientata alla categoria spaziale, con conseguenze sull'approccio all'informazione, sia in fase di codifica che di decodifica. L'alfabeto influenza i nostri rapporti con lo spazio e il tempo dal momento in cui impariamo a leggere. Nella psicologia occidentale, il passato sta a sinistra, il futuro a destra, dove procede la nostra scrittura. La scelta della direzione dipenda dal fatto che il cervello umano comprende più rapidamente le configurazioni nel campo visivo sinistra, e le sequenze nel campo visivo destra. Il fatto che il nostro alfabeto abbia mutato direzione dopo l'introduzione delle vocali suffraga l'ipotesi.
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    Al proposito sono andata a rileggiermi la lezione magistrale di Derrick de Kerckhove, all'Università di Urbino il 29 novembre 2004, in occasione del conferimento della Laurea ad honorem in Sociologia. Ve ne ripropongo uno stralcio che riguarda "L'alfabeto e il cervello" sulle conseguenze dell'alfabetismo che si può riassumere nelle seguenti ipotesi: 1. E' la struttura intrinseca di una lingua a determinare la direzione della scrittura. Modelli come il greco, il latino o l'etiopico, formati inizialmente su sistemi consonantici che andavano da destra a sinistra, hanno finito per cambiare direzione della scrittura, ma soltando dopo che le vocali vennero aggiunte al modello originale. 2.La scelta della direzione dipende dal processo di lettura: se le lettere sono combinate dal contesto, la scrittura va da destra a sinistra, mentre se le lettere si susseguono in sequenza, la scrittura va da sinistra verso destra. Questo avviene perchè il cervello umano riconosce le configurazioni più velocemente nel campo visivo sinistro, mentre individua le sequenze più rapidamente nel campo visivo destro. Il cambiamento di direzione nella scrittura greca avvenne poco dopo che una serie completa di vocali fu aggiunta alla lingua fenicia, che era esclusivamente consonantica. la presenza delle vocali rendeva continua la sequenza delle lettere, mentre il sistema originario era una linea discontinua di simboli, che si basava su una lettura per contesto più che per sequenza. Il fatto che il nostro alfabeto abbia cambiato direzione una volta che ha acquisito le vocali va a sostegno dell'ipotesi di de Kerckhove e cioè che la scrittura del nostro linguaggio ha esercitato una pressione sul nostro cervello per mettere in risalto le sue capacità di elaborazione sequenziali e temporali. Ne consegue che l'alfabeto influenza anche l'organizzazione del pensiero e che il linguaggio è il software che guida la psicologia umana.
Elio Cimmaruta

Apprendimento Collaborativo - 5 views

Concordo sostanzialmente con l'analisi fatta da Gino sull'apprendimento collaborativo. Esso è espressione dell'intelligenza collaborativa e al contempo la esprime. Una facoltà che include sia l'int...

#CollaborativeLearning

Andrea Andrenelli

Usare il TAG per portare test psicologici e di valutazione sul Web (III parte) - 5 views

ERRATA CORRIGE: ho dovuto usare la parentesi graffa al posto di quella angolare, perché il browser non visualizza i TAG ma cerca di interpretarli!

#Tagging

lucacivitelli

Multitasking: Levitin e Jenkins a confronto - 0 views

Una delle mie passioni è la musica e, anche se mi posso reputare a malapena mediocre, mi piace cercare sempre nuovi modi per migliorarmi e soprattutto mi piace ispirarmi ai grandi musicisti per pro...

#Multitasking

started by lucacivitelli on 10 Jan 18 no follow-up yet
Ivan Romano

I "nativi digitali" figli di una nuova intelligenza, quella digitale. - 11 views

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    C'è chi come Carr ritiene che l'eccessivo multitasking dell'era digitale ci stia rendendo stupidi, c'è poi chi come il prof. De Kerckhove o il prof. Paolo Ferri (univ. Milano-Bicocca) ritiene invece che si possa parlare di una nuova forma di intelligenza. Nell'articolo che posto tratto dal Corriere viene presentato il libro del prof. Ferri "Nativi digitali". Questa definizione, coniata nel 2001 dallo studioso Marc Prensky, sottolinea la peculiarità di chi oggi ha meno di 15-16 anni ed è nato e cresciuto tra le tecnologie elettroniche; in contrapposizione all'"immigrante digitale", che invece ha incontrato tali tecnologie in una fase successiva della sua vita. Secondo il prof. Ferri, non è vero, che il digitale rende stupidi e favorisce la solitudine; ma può accadere che la modalità di conoscenza veloce e condivisa dei più giovani li esponga a rischi nuovi, come la superficialità, l'incapacità di tollerare le attese o di gestire la privacy. Limiti di fronte a cui il ruolo educativo degli adulti (genitori, insegnanti, istituzioni) diventa fondamentale. C'è quindi la necessità che gli "immigranti digitali" dialoghino dall'alto della loro esperienza con i "nativi digitali"; azzerando i pregiudizi e instaurando un rapporto costruttivo per entrambi.
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    Molto interessante. Per approfondire la cosa si vedano anche i seguenti video su youtube dove l'autore parla dettagliatamente dell'argomento. Video 1 Introduzione http://www.youtube.com/watch?v=8mwFtYfWXQo&feature=relmfu Video 2 Chi sono i Nativi digitali? http://www.youtube.com/watch?v=hYSxvwtdKso Video 3 Intelligenza digitale: http://www.youtube.com/watch?v=EacYvdoeCLg&feature=relmfu Video 4 Immigranti digitali: http://www.youtube.com/watch?v=u7c7Ubk-2S4&feature=relmfu Video 5 Nativi Digitali crescono: http://www.youtube.com/watch?v=5jUJD-WWAIw&feature=relmfu
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    #Intelligence #Multitasking http://www.tecalibri.info/F/FERRI-P_nativi.htm Autore: Paolo Ferri - Titolo: Nativi digitali - Edizioni: Bruno Mondadori "Secondo un fortunato apologo attribuito a Seymour Papert (1996), se un alieno dalla vita millenaria fosse ritornato sulla Terra nel 2000 dopo cinquecento anni di assenza, avrebbe trovato irriconoscibili i laboratori scientifici - per esempio quelli di fisica, non potendo mettere a confronto gli studi di Newton e Galileo con i Bell Labs o il CERN -, ma avrebbe riconosciuto facilmente un luogo deputato alle assemblee politiche, una chiesa o un'aula scolastica: non molto è cambiato da allora." Trovo interessante il titolo ed il contenuto del primo capitolo: "1 - Una razza in via di apparizione" Un ulteriore contributo può esser chiarificatore: Da 0 a 12 anni, l'identikit dei veri nativi digitali http://daily.wired.it/news/internet/ecco-chi-sono-i-nativi-digitali.html Chi sono i nativi digitali? Il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età? Una ricerca a cura del Gruppo NumediaBios e dell'università Milano Bicocca dà una risposta. Ciò che emerge è chiaro: la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa, a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati. I nativi sono, infatti, una specie in via di apparizione, all'interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell'età e quindi dell'esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Emergono tre tipologie diffe
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    La classe politica italiana, citata dalla Rastelli nella recensione del libro di Ferri, risponde con il decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179 " Ulteriori misure per la Crescita del Paese" dove, nell'ottica di favorire la crescita e lo sviluppo dell'economia e della cultura digitali, affronta temi che vanno dall'agenda e dall'identità digitale, al domicilio digitale del cittadino, alla posta certificata, passando per la sanità digitale, libri e centri scolastici digitali, innovazioni nei sistemi di trasporto pubblico, moneta elettronica, ricerca e innovazione e comunità intelligenti. Per chi vuole approfondire ecco il link alla Gazzetta Ufficiale: http://www.gazzettaufficiale.it/moduli/DL_181012_179.pdf
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    c'e un interessante articolo di sole 24 ore sull'argomento nativi digitali che vi invio per una riflessione sulle nuove generazioni che vivono e crescono con le nuove tecnologie : ddio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso. Chi sono questi famigerati «nativi digitali», nati e cresciuti a rivoluzione internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma Comparative media studies del Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è «partecipativa» e si fonda su «produzione e condivisione di creazioni digitali» e su una «partnership informale» tra insegnanti e alunni, che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un «facilitatore», che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente. «Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita», spiega Paolo Ferri, docente di Tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, «e considerano internet il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione». È la prima generazione (che oggi ha tra gli 0 e i 12 anni) veramente hitech, che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli maggiori. «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», prosegue Ferri, che studia e promuove da anni il «digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellular
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    Collegato al tema dei nativi digitali e, in particolare, alla loro formazione segnalo l'interessante libro di George Veletsianos "Emerging technologies in distance education". George Veletsianos è un assistente professore di tecnologia didattica presso l'Università del Texas. La sua ricerca e gli interessi di insegnamento comprendono la progettazione, lo sviluppo e la valutazione di ambienti di apprendimento digitale, con particolare attenzione alla formazione per mezzo di personaggi virtuali, tecnologie emergenti, e all'esperienza dello studente. Questo libro, disponibile in Creative Commons Licence su www.aupress.ca, mette in mostra il lavoro internazionale di studiosi di ricerca e professionisti della formazione a distanza, che utilizzano emergenti tecnologie interattive per l'insegnamento e l'apprendimento a distanza. Esso raccoglie le conoscenze disperse di esperti internazionali che mettono in evidenza fattori pedagogici, organizzativi, culturali, sociali, ed economici che influenzano l'adozione e l'integrazione di tecnologie emergenti nella formazione a distanza. Emerging technologies in distance education fornisce una consulenza di esperti su come sia possibile lanciare efficaci e coinvolgenti iniziative di formazione a distanza, in risposta alle innovazioni tecnologiche, cambiando mentalità e le pressioni economiche e organizzative. Il volume va oltre l'hype che circonda le tecnologie Web 2.0 e mette in evidenza le questioni importanti che i ricercatori e gli educatori devono prendere in considerazione per migliorare la pratica educativa.
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    Beh che dire questo articolo è attinente al programma di Psicotecnologie e si riallaccia a quanto detto dal Prof. De Kerckhove nella sua lezione "is Google making us stupid?". Le conclusioni a cui arrivano i due Prof sono simili. Il Multitasking non ci rende più stupidi come invece sembrerebbe emergere da uno studio della Stanford University condotto su di un campione di 100 studenti. Nel mio piccolo devo ammettere che condivido le posizioni di Jacobs emerse in questo articolo (già condiviso per altro da un altro collega) :http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_23/multitasking-rodota_b6937564-6685-11df-b272-00144f02aabe.shtml Jacobs riprende un po' quanto detto da Carr e cioè che il multitasking non ci rende migliori ma semplicemente ci fa fare più cose assieme e tutte, in un certo qual modo,"male". Il termine "male" va spiegato un po' meglio, con il multitasking facciamo più cose assieme e le facciamo peggio di come le faremo se ne facessimo una alla volta, in questo senso ho usato il termine "male". Secondo me il punto centrale, parlando di multitasking, è che la nostra società oggi ci obbliga a far più cose simultaneamente e se per certi studiosi questo ci porta a fare più cose in modo peggiore è anche vero, come dice il Prof.De Kerckhove, che quest'abilità è prerogativa delle nuove generazioni. In ultima analisi, oggi dobbiamo saper fare un po' tutto (mandare email, usare la chat, navigare in internet ecc...) e se questo ci rende un po' meno capaci "nello specifico" è un sacrificio da poter fare in nome dell'evoluzione tecnologica.
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    Su BBC news del 20 Novembre, nell'articolo "What makes us intelligent?" si parla di un argomento simile anche se lo studio non parla solo delle nuove generazioni, quelle cosiddette 2.0 . Lo strumento digitale ci rende più stupidi? Anche qui viene rilevato che non memorizziamo più le cose come un tempo, non tanto per ridotta capacità quanto per una naturale efficienza mentale: perché usare tempo e spazio per attingere a cose facilmente reperibili con altri strumenti? Il filosofo Andy Clark ha definito gli uomini "natural born cyborg" dato che riescono ad integrarsi e incorporare i nuovi strumenti che la tecnologia ci può offrire per sfruttarli e magari nel frattempo allargare le nostre competenze, occuparci di più tasks, e non è detto che sia in maniera più superficiale.
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    Allora io sono un "immigrato digitale" ! Come molti ho assistito ai primi pc (da bambino giocavo con il commodore 64 e a scuola ci facevano fare dei test con un programma grafico chiamato "tartaruga" , una sorta di triangolo verde che segnava linee sullo schermo), ricordo le prime piattaforme per videogiochi, il modem a 56k, i primi video presenti in rete, etc Assecondare le tecnologie non è sempre stato facile perchè occorre sempre un fuoriuscire da ciò che si conosce (ammetto l'estraneità -ma anche il divertimento- che ho provato la prima volta che a casa d'amici ho usato una Wii), un testare cose nuove che magari ritenevi per se inutili (quando è merso il cloud inizialmente mi sono chiesto "ma perchè questa cosa?, ci vogliono controllare meglio?"...a pensarci oggi viene quasi da sorridere) Ritengo utile quindi creare un ponte tra "nativi digitali" e "immigrati digitali", non tanto perchè ci spieghino come funzionano le tecnologie (magari le usiamo megli di loro) ma per cogliere le differenze di visione, d'umanità e di prospettive che ci possono essere tra generazioni diverse
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    Sarei curioso di vedere l'effetti di questa nuova digitalita' fra 30-40 anni, sentendo parlare esperti del rorschach la nostra intelligenta, di Italiani, e' peggiorata tantissimo, abbiamo perso l'intelligenza operativa di fare le cose, l'accuratezza di ricercarle e avere pazienza di farlo! Spero che sia solo un catastrofismo personale di chi ha detto questa cosa, ma ogni cambiamento non puo' per forza di cose portare solo vantaggi... magari...
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    Personalmente non ritengo che l'intelligenza digitale, e quindi google e tutti i social network, ci rendano stupidi. E' solo un modo diverso di fare comunità, condivisibile o meno a seconda dell'età e contesto sociale. Certo dalla nostra generazione(40enni) a quella dei nostro figli 12-16enni, molto è cambiato. Io facevo le ricerche sulle enciclopedie che disponevo in casa, per poi trascrivere il tutto a penna sul quaderno, ora base dati il network, e con un rapido ctrl c, ctrl v, si ha subito ed in maniera eficiente una qualsiasi ricerca. Certo un pò di abilità di come muoversi nel web ci vuole. Però ci dobbiamo adeguare ai nuovi sistemi che ormai sono parte integrante del nostro vivere, conoscere e relazionarsi.
Romina Mandolini

Cognizione distribuita e nativi digitali - 2 views

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    Questo mio secondo contributo, analizza i legami che sussistono tra il concetto di cognizione distribuita e ICT, nell'ambito dell'insegnamento analizzando in maniera critica vari aspetti dell'intero processo. L'autore parte dal concetto di nativi digitali, per spiegare il modo in cui l'utilizzo naturalizzato da parte di questi degli artefatti tecnologici, si connette alle intuizioni di McLuhan sulle proprietà sensoriali delle tecnologie di comunicazione e la loro influenza sulla cultura e la società. A questo proposito svolge interessanti analisi sui giovani e sul loro rapporto con la tecnologia. Sull'insegnamento e sul nuovo ruolo che spetta all'insegnante. L'insegnamento si deve sempre più configurare come un processo di costruzione continua, che passa attraverso una lunga interazione tra docente, studenti e le vaste risorse online, che questo deve aiutare a coordinare e strutturare. L'autorevolezza dell'insegnante difatti in questo contesto si affianca a quella delle risorse digitali interattive favorite dai nuovi strumenti ipermediali. Gli insegnanti, sono chiamati a far si che l'allievo affronti l'enorme volume di informazioni disponibili online, sviluppando le sue doti di analisi (capacità di reperire e vagliare fonti e contenuti) e di sintesi (capacità di ordinare e dare un senso alle informazioni).
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    Per finire. L'autore paragona la classe così connessa al concetto di "Villaggio Globale" di McLuhan, nella similitudine della piccola comunità (villaggio/classe) che si ritrova globalmente riunita tramite le nuove tecnologie, al mondo. E in queste grande possibilità traccia però anche i pericoli e le sfide che debbono essere affrontate.
Romina Mandolini

Psicotecnologie: una definizione - 11 views

"Dall'alfabeto a Internet" (a cui fa riferimento il link riportato alla fine) è uno splendido libro del Prof. De Kerckhove (di cui in rete si può leggere la prefazione e qualche stralcio), grazie a...

#Psicotecnologie

started by Romina Mandolini on 06 Nov 12 no follow-up yet
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