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alfonsina longobardi

Il multitasking - 4 views

started by alfonsina longobardi on 12 Mar 13
  • alfonsina longobardi
     
    Il multitasking è un modo di processare l'informazione, dedicando le risorse di sistema per eseguire contemporaneamente diversi lavori passando da un contesto all'altro. Questa possibilità operativa dei computer ha influenzato il nostro modo di lavorare e di usare il cervello: usiamo diverse applicazioni simultaneamente, magari su più monitor e c'è anche il telefonino che riceve chiamate, sms o email. Nel 2006 Linda Stone, ex dirigente Microsoft, parlando di attenzione parziale continua all'Emerging Technology Conference di San Diego, ha constatato che moltissimi tra il pubblico avevano il volto rischiarato dal bagliore dello schermo del proprio pc portatile. Khoi Vinh, designer del New York Times, qualche tempo fa raccontava sul suo blog (trad. it.) che quando guida gli viene sonno, salvo che non vi sia da controllare il monitor di un navigatore satellitare, che gli tiene il cervello in attività parallela. Se la mente multitasking di Khoi Vinh non lavora ad un certo regime, va in deficit di attenzione generando sonnolenza. Che fico!

    Il web, la lettura e il pensiero.
    Jack Goody ha definito la scrittura "tecnologia intellettuale" e il sociologo Daniel Bell ha allargato la definizione agli strumenti che aumentano le capacità mentali.

    Nicholas Carr, in un articolo su Atlantic, fa notare che secondo la psicologa evolutiva Maryanne Wolf le info-tecnologie "svolgono un ruolo importante nel plasmare i circuiti neuronali del nostro cervello e che l'efficienza del web indebolisca la nostra capacità di leggere con attenzione profonda".
    Carr utilizza Google come icona del web: l'articolo s'intitola Google ci rende stupidi? e si chiede se il web, attraverso l'accesso ipermediale alle nostre memorie di silicio, non abbia trasformato non solo il nostro modo di leggere, ma anche quello di pensare.
    Citando Eric Shmidt, amministratore delegato di Google, Carr ricorda che "l'azienda è fondata sulla scienza della misurazione" e che Brin e Page considerano Google un progetto di intelligenza artificiale, il cui obiettivo è portare le informazioni direttamente al cervello.
    Carr aggiunge che l'etica industriale di Google si fonda sul taylorismo: "ciò che Taylor ha fatto per il braccio, Google lo sta facendo per la mente".

    La sua conclusione è che "per Google l'ambiguità è un errore da correggere, lasciando poco spazio all'indistinto della contemplazione", che le infotecnologie tendono ad "appiattire la nostra intelligenza e a renderla artificiale" e dice di sentirsi come il super-computer HAL quando, in 2001 Odissea nello spazio, dice: "la mia mente se ne va. Lo sento. Lo sento. Ho paura".
    Visto che si parla di 2001 Odissea nello spazio, vorrei ricordare che Kubrick, in tempi non sospetti, è stato uno che, con una sana ossessione per una pianificazione che prevedesse il più possibile l'errore, ha dato un enorme contributo alla cultura con memorabili contemplazioni dell'indistinto dell'ambiguità umana.

    Nell'era dell'informazione la conoscenza è potere. Se c'è una cosa per cui Google potrebbe essere preoccupante è che ha e avrà sempre di più un potere enorme. Se vogliamo essere paranoici, Google un giorno potrebbe teoricamente falsificare una persona nel corpo e nella mente, potrebbe diventare una macchina che governa il mondo. Ma è anche vero che Google condivide buona parte delle sue conoscenze, allora, invece di diventare il grande fratello, potrebbe diventare la piattaforma ideale per i piccoli fratelli, ovvero gente comune con mezzi da grande fratello.
    È comunque difficile incolpare un'istituzione con cui siamo collusi. Naturalmente il problema è collegato alla dipendenza da questa collusione.
    Pensiero reticolato.
    (Vernetztes Denken, Networked thinking)
    L'articolo di Carr prende l'avvio da due post, uno pubblicato da Bruce Friedman (che ha un blog sull'uso del computer in medicina), e l'altro da Scott Karp (che sul suo blog si occupa di media). Karp, specializzato al college in letteratura, era un avido lettore che ha smesso di leggere libri, non perché ha cambiato modo di leggere, ma perché ha cambiato modo di pensare: oggi il web è una grande biblioteca interattiva, dove più testi brevi connessi tra loro in modo non lineare consentono di costruire e articolare autonomamente il pensiero fuori dal testo.

    L'articolo di Nick Carr ha sollecitato i commenti di Kevin Kelly e Stowe Boyd, e la risposta di Scott Karp.
    Kevin Kelly fa notare che oggi esistono le condizioni tecnologiche che rendono possibile e giustificano sia la produzione che la fruizione di molti testi brevi.
    Stowe Boyd aggiunge (facendo riferimento al post di Karp) che certi testi brevi connessi tra loro possono essere più efficaci di un testo lungo e spiega che il suo commento al testo di Carr si combina attraverso un ragionamento e un processo cognitivo non lineare: un insieme di informazioni e frammenti apparentemente casuali gli hanno permesso di mettere insieme una riflessione compiuta.
    Boyd sottolinea che secondo gli standard tradizionali il suo procedere tra letture, informazioni e pensieri può sembrare una roba da matti.

    Non credo che la nostra mente se ne stia andando, nel teatro del quotidiano la normalità è in continua ridefinizione: a quanti di voi sarà capitato di incrociare per strada un matto che parla da solo, per poi scoprire che sta parlando al telefono?
    logio della differenza.
    Nel saggio Éloge de la différence il biologo francese Albert Jacquard racconta come in biologia la diversificazione genetica sia un'opportunità e spiega come analoghi vantaggi siano offerti dalla varietà culturale. In una conferenza al TED, Kevin Kelly spiega come la differenziazione tecnologica sia una risorsa di opportunità anche per le generazioni future.
    Il racconto enciclopedico.
    Carr cita Marshall McLuan che negli anni sessanta affermò che i media sono canali passivi che forniscono contenuti con cui si elabora il pensiero, ma al contempo influenzano il processo di formazione del pensiero stesso.
    Come abbiamo notato all'inizio, non solo i media tradizionali e le info-tecnologie, ma la cultura e la tecnologia in generale influenzano i processi cognitivi e di elaborazione del pensiero. Oggi la tecnologia rende questi processi evolutivi più veloci, e quindi più evidenti, rivelandone l'inquietudine, come nella modalità del racconto in Koyaanisqatsi di Geoffrey Reggio.
    Il web, come lo intendiamo oggi (2.0), è molto diverso dai media tradizionali.
    Nicholas Negroponte ha spiegato questa importante differenza nel 1995: "non dimentichiamo che la televisione, i giornali, la radio, i libri erogano l'informazione attraverso un sistema gerarchico. Internet non è così, qualunque punto può essere sia trasmittente che ricevente. Ecco perché contribuisce ad accrescere le differenze, e non a fornire una singola visione del mondo sempre più uniforme. Ai tempi della televisione analogica e di altre tecniche, dovevamo seguire alcune norme che generavano l'uniformità. Ora non è più così." (intervista)
    Il web non è un canale passivo, è potenzialmente tante cose, è una macchina, un mega-computer e come tale può teoricamente assumere molteplici funzioni, passive e attive, come una macchina di Turing.

    Carr ammette comunque che l'uso di Google favorisce la conoscenza e Kelly aggiunge che lui non rinuncerebbe ai 40 punti di QI in più che ha quando è connesso al web. Anche per me è così.


    Ipertesto, tempo e immagine.
    Negli anni trenta Vannevar Bush aveva ideato il calcolatore analogico Memex per rendere più efficiente l'archiviazione ed il reperimento del sapere. Memex, che non è stato mai realizzato, è considerato l'antenato del personal computer. Nel luglio 1945 Bush pubblicò un articolo su The Atlantic Monthly in cui, per favorire la conoscenza nei contesti scientifici interdisciplinari, proponeva l'idea di ipertesto. L'articolo si intitolava As We May Think (Come potremmo pensare).
    Tra il 1965 e il 1968, ispirati dall'articolo di Bush, l'ingegnere Douglas Carl Engelbart (inventore del mouse) e il sociologo e filosofo Ted Nelson, inventarono l'ipertesto.

    L'idea di poter pensare in modo non lineare, contenuta nel concetto di ipertesto, non è dunque un problema che ci è caduto addosso oggi. Semmai oggi ci stiamo confrontando con una nostra necessità, con la necessità di pensare diversamente, con la possibilità di poter accrescere ed esaltare le differenze. Questa è una ricchezza.
    Il cervello è una struttura plastica, adattabile. Forse dovremmo migliorare la nostra capacità di gestire l'eccezionalità che ognuno di noi rappresenta in modi diversi, imparando a convivere meglio con le nostre invenzioni e con la complessità che esse portano.
    L'ipertesto ha influenzato l'uso del tempo nel cinema, come nel play and replay della sceneggiatura di Pulp Fiction che non fa uso di semplici flashback, ma racconta in modo reticolare, senza una gerarchia sequenziale. Come in un sogno il tempo di Pulp Fiction sembra racchiuso nella capocchia di uno spillo. Pulp Fiction scardina l'idea del tempo sequenziale e delle sue gerarchie.
    La reticolarità, caratteristica della mente, delle modalità analogiche di costruire i pensieri e organizzare le conoscenze, è anche una peculiarità del web. Il web sovrappone alla concezione del tempo sequenziale, tipica del racconto tradizionale, una forma di tempo concentrata, probabilistica, multiforme e multitasking. Come nei sogni che percorrono una storia vissuta in un tempo lungo, ma in un tempo reale di pochi secondi.
    Questa dimensione ci propone un uso della mente che non è una novità: Calvino ne parlava nel suo discorso sulla molteplicità, in riferimento alle tendenze enciclopediche del romanzo contemporaneo.
    Trovo molto interessante che Calvino, nella sua conferenza sull'esattezza, accenni al fatto che lui da bambino ha formato la sua capacità immaginativa con dei fumetti senza testo, e poi dice che si è abituato alla lettura con grande sforzo verso i tredici anni. Dice anche che lui ha sempre preferito scrivere testi brevi.
    Quand'ero piccolo io, mio padre mi concedeva la lettura di pochissimi fumetti e in casa non avevamo la tv, perché secondo lui troppe immagini non mi avrebbero abituato alla lettura.
    Chissà che allora la questione su cui si dibatte non sia connessa non solo alla cultura dell'informazione, ma anche, e forse in larga parte, a quella dell'immagine.


    Mind switch (commutazione mentale).
    La mente può funzionare in diverse modalità. Un diverso genere musicale può variare la nostra condizione mentale, i nostri ritmi cardiaci e addirittura funzionare da doping durante lo sport o come droga, così ogni attività impegna il cervello in funzioni diverse e probabilmente a frequenze operative diverse. Si può esercitare un controllo, gestire l'attività mentale?
    Se lavoro in modalità multitasking il mio cervello sembra attraversato da un'attività ad alta frequenza. Anche se non sempre e non necessariamente. Invece quando dipingo la mia mente attiva una modalità di pensiero diversa: è come se fosse attraversata da onde a bassa frequenza. Lavoro con un monitor di riferimento accanto, scollegato dal web e che svolge solo funzioni guida.
    Anche il programmatore Paul Graham racconta sul suo blog (trad. It.) che per le attività che richiedono di lavorare senza distrazioni usa un computer sconnesso dal web, naturalmente ne ha un altro connesso, che usa quando vuole.
    L'importante per me è continuare a riuscire a commutare la mia mente in modalità "dipingere" e, per quanto possibile a mantenerla elastica, versatile e capace di passare da una modalità di pensiero all'altra.
    Più raramente, dipingendo, la mia mente entra in un tipo di attività in cui probabilmente è attraversata da onde ad alta frequenza. In quei momenti mi sembra di vivere una sorta di grande calma tesa e vigile, non saprei spiegarlo meglio. Queste modalità di pensiero sono per me più rare e non ne ho il pieno controllo dell'attivazione. Sopraggiungono comunque dopo lunghe fasi di concentrazione indisturbata.
    Mental Wealth (ricchezza mentale).
    I più giovani, abituati fin da piccoli a maneggiare diversi oggetti di comunicazione e informazione, si confrontano con i problemi legati al deficit di attenzione, di cui si parla spesso nelle scuole. Fin da piccoli dovrebbero imparare che il cervello può essere usato in diversi modi. Magari dipingere, suonare e fare sport potrebbero essere alcuni dei modi per capirlo, le soluzioni possono comunque essere cercate.
    L'antropologa culturale Mizuko Ito ha condotto la ricerca più completa finora pubblicata sul rapporto dei teenager con le infotecnologie. I risultati dello studio dimostrano che i giovani non hanno un rapporto con le infotecnologie diverso da quello degli adulti: riescono ad imparare, socializzare e sviluppare attitudini civili divertendosi, sviluppando la loro cultura in modo informale.
    Avevo notato che mio figlio e i suoi amici avessero un rapporto creativo con le ICT, ma i risultati di Digital Youth Research sono molto confortanti perchè indicano una tendenza diffusa e prospettano non più un'economia del consumo in un mondo di consumatori ma un'economia della creazione e della valorizzazione umana: le ICT offrono la possibilità di inventare il futuro, democraticamente.
    In un momento di crisi dei valori finanziari, delle industrie automobilistiche e del sistema energetico, la speranza dell'umanità è nel potenziale creativo (e non consumistico) dei nostri figli. Le infotecnologie sono il loro rock'n'roll, non demonizziamole.
    Immaginate quale risorsa creativa esiste fra tutti quei giovani che non hanno accesso alle nuove tecnologie, immaginate come cambierà il mondo grazie al contributo di progetti come OLPC del Media Lab per dare un laptop a 100 dollari ai bambini delle aree sfavorite, e IXEM che vuole portare l'accesso al web, veloce e a basso costo, nelle aree del mondo scollegate.

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