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Home/ Psicotecnologie e Processi Formativi - Uninettuno/ Group items tagged responsabile

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Marco Tambara

Sull'uso sociale della rete - 0 views

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    Alexis Madrigal è un editorialista responsabile del canale tecnologia per la rivista americana "The Atlantic". Nata nel 1857, la rivista d'opinione si occupa di cultura e letteratura. Nell'articolo l'autore ripercorre le tappe della sua adolescenza "in rete", analizzando i meccanismi che permettono l'aumento della visibilità di un sito. Attualmente l'esistenza di un sito viene veicolata tramite facebook o altri social network che favoriscono questa visibilità.Il meccanismo definito "direct social" si oppone a quello del "dark social" che prende in considerazione quei link che sono raggiunti direttamente. Queste due modalità sono state misurate da una famosa azienda di analisi dei dati in tempo reale: Chartbeat. I risultati hanno evidenziato queste percentuali: 43,5% per il "direct social" e il 56,5% per il "dark social". Attraverso i social network rendiamo pubblici i dati che vogliamo condividere con gli amici.Questa pratica era già in essere prima dell'avvento di facebook & co.ma senza cedere i dati a organizzazioni private.
saracatenaro

Cooperative learning - 2 views

Come spesso accade in questi casi manca proprio l'educazione dei docenti che non sanno utilizzare nella maniera corretta queste nuove metodologie

www.edscuola.it

sabrinaf-

La tecnologia migliora la qualità della vita? - 1 views

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    Come sempre la verità sta nel mezzo....Le potenzialità che la tecnologia ci offre sono molteplici, la capacità dell'uomo ad un uso responsabile e consapevole dei mezzi invece non sempre è presente nella popolazione media. Un approccio critico circa il loro utilizzo e una spiccata capacità di analisi aiutano per un loro utilizzo "sano".
a_monachesi

http://it.wikipedia.org/wiki/Meme - 1 views

La memetica, una teoria evoluzionista del gene del sapere. Per il suo fondatore, Richard Dawkins, il sapere si trasmette ed evolve al pari dei geni, e responsabile di questa trasmissione è proprio...

#Intelligence

started by a_monachesi on 21 Nov 12 no follow-up yet
Silvia Biavasco

Il Multitasking negli adolescenti - 1 views

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    Il video pone l'attenzione sugli effetti che il il multitasking ha sul cervello degli adolescenti, seguendo delle loro giornate "tipo". Importante contributo agli studi di Gary Small.
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    I ragazzi di oggi sono costantemente impegnati in svariate attività praticate in contemporanea: mandano e ricevono sms in continuazione, rispondono al telefono, indossano gli auricolari del loro mp3 mentre fanno ricerche al computer. Un bombardamento ininterrotto che potrebbe compromettere lo sviluppo mentale degli adolescenti, facendo perdere loro la capacità di concentrare l'attenzione su di una materia alla volta e quindi di sviluppare profondità di analisi su di un qualsiasi tema. Il monito contro una cultura, soprattutto quella americana, sempre più incentrata sul «multitasking», ossia il fare più cose nello stesso tempo, in particolare per i pericoli che comporta per i più giovani, viene da una serie di esperti Usa. Jordan Grafman, direttore di neuroscienza dell'apprendimento all'Istituto nazionale della salute Usa, sostiene che fare più cose contemporaneamente impedisce di fatto l'acquisizione di una conoscenza rigorosa ed approfondita di qualsiasi materia, poichè parte del cervello dei teen-ager è ancora in fase di sviluppo. Ciò porta nel tempo gli adolescenti ad essere appagati da un apprendimento superficiale». L'analisi della materia grigia di ragazzi di 20 anni esaminati con la risonanza magnetica da studiosi della università di California ha rivelato che durante attività di multitasking la parte cerebrale responsabile per l'immagazzinamento delle informazioni rimane «inattiva». Non esistono quindi tracce nelle memoria di quanto teoricamente appreso.
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    Forse la vera sfida oggi è fare una sola cosa ma che ci assorbe al 100% e usarla come palestra per il cervello.
Donatella Fantozzi

Tagging: una questione di etichette - Mds - 10 views

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    Tagging: una questione di etichette di Alberto Falossi Su internet c'è tutto: chi vede il web per la prima volta rimane colpito proprio da questo. È sorprendente trovare siti dedicati a qualsiasi argomento, non importa quanto strambo o di nicchia. Ma in questo mare di informazioni è difficile navigare: trovare un sito, una persona, un'email, può diventare letteralmente un'impresa.
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    Nel mare delle informazioni, la catalogazione per argomenti, i TAG, sono il salvagente ideale per trovare quello che si sta cercando.
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    Il tag è vero viene usato per trovare quello che si sta cercando nel mare magnum di internet però può anche essere uno strumento che fornisce indicazione sull'opinione dell'utente.
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    Il tag è uno dei protagonisti principali del web 2.0. L'articolo del Prof. Falossi è molto chiaro ed interessante, e nel proporre degli esempi utilizza gli stessi siti citati dal Prof. De Kerckhove nelle videolezioni. Davvero utili sono i consigli dell'autore su come scegliere i tag giusti.
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    anch'io ho trovato questo articolo davvero utile per capire uno dei fenomeni più pervasivi e sfuggenti della rete : la possibilità di tutti di proporre un propria catalogazione e, nello stesso tempo, di renderne il criterio condivisibile agli altri utenti
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    Interessante senz'altro, anche se molti suoi suggerimenti non sono ben usati dagli utenti!
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    Quando le categorie sono numerose e le informazioni di un determinato argomento sono consistenti il tag è sicuramente lo strumento più utile per la gestione delle informazioni. I tag sono delle etichette che forniscono significato ai contenuti per la ricerca delle informazioni, basata su parole chiave per recuperarle più facilmente e relativamente ad un argomento preciso.
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    Dedicherei particolare attenzione al paragrafo consigli per il Tagging, così come esiste una netiquette per i forum, credo sarebbe opportuno che tutti gli utenti prima di taggare "selvaggiamente" si attenessero a quelle poche e semplici regole che determinano un tagging "responsabile" e rendono lo strumento efficace. Mi è capitato più volte in passato, in diverse situazioni, di trovare così tanti tag su un oggetto che alla fine i tag non determinavano più una corretta discriminazione dell'argomento ricercato ma semplicemente riproponevano sempre lo stesso oggetto per qualunque ricerca proposta, invalidando così la funzione del tag. In breve direi "Tagga responsabilmente!"
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    Il termine si fa risalire a Richard Saul Wurman che, in un suo saggio del 1996, parla per la prima volta di "information architects" Il problema di definire cosa sia l'architettura dell'informazione e a chi serva è ancora irrisolto, a più di 15 anni dalla sua prima formulazione. Possiamo fare rientrare sotto il termine architettura dell'informazione: 1.I sistemi di organizzazione, labeling, e gli schemi di navigazione di un sistema informativo 2.Lo schema che sta dietro uno spazio informativo per facilitare lo svolgimento deicompiti che si prefigge e che fornisce un accesso intuitivo ai contenuti 3.L'arte e la scienza di classificare e strutturare siti web e intranet per aiutare le persone a trovare e gestire le informazioni 4.Una disciplina emergente e una comunità di pratica volta a applicare i principi del design e dell' architettura nel contesto digitale Architettura dell'informazione è quindi un termine circoscritto che caratterizza una materia che richiede un approccio multidisciplinare che si situa alla convergenza di molti saperi e professionalità.
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    Credo che in futuro si debba regolamentare anche quei nuovi lavori scaturiti dalle nuove tecnologie. tutti i giorni continuo a sentir parlare di SEO ma di veri professionisti non ne sto incontrando, molti sono semplici programmatori che si sono convertiti.
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    Interessante articolo specialmente quando parla di Tag cloud: un nuovo codice di comunicazione. La dimensione delle parole dipende dalla frequenza del tag all'interno del sito: più il tag è grande, più contenuti ci sono con quel tag. A colpo d'occhio l'utente può avere un'idea degli argomenti più trattati. Ogni parola della nuvola di tag è un link, che visualizza la lista filtrata per quel tag. Grazie all'interfaccia intuitiva, gli architetti dell'informazione stanno sempre più ricorrendo alle tag cloud nella progettazione dei siti.
PAOLA CACCHIONE

Arriva il social network per il mondo accademico - 5 views

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    Arriva il social network per il mondo accademico, E' So.cl, piattaforma di Microsoft che connette gli studenti con la stessa formazione, Il progetto iniziale e' stato sviluppato il 2009 dal laboratorio FuSe (Future Social Experience) ed e' stato gia' sperimentato nelle Università di Washington, Syracuse e della New York University.
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    Cyberspazio: formazione e informazione Aug 1, 2012 "Il Cyberspazio ha puntato su due aspetti fondamentali: la formazione e l'informazione". Lo sottolinea Pasquale Alfieri , uno degli organizzatori di questa rassegna telematica, alla sua seconda edizione, e responsabile del settore informazione. FORMAZIONE perche' i ragazzi devono prepararsi al mondo del lavoro, acquisendo familiarita' con le tecnologie piu' avanzate. INFORMAZIONE per ridurre le distanze tra media e giovani utenti. L'idea del Cyberspazio e' stata quella di trasformare i giovani in "inviati" di testate giornalistiche. Questa esperienza e' servita per entrare in una dimensione del mercato del lavoro totalmente sconosciuta, dove convivono nuove figure professionali: dai cameramen agli operatori, dai tecnici audio e video agli scenografi di set virtuali, sino alla computer grafica. Link: http://www.radio.rai.it/grr/ar...iale/cyber98/ Added by: cla
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    Questo nuovo social network sembra davvero interessante. Eppure, per noi che studiamo in un'Università Telematica e siamo già abituati alla condivisione dei materiali accademici, vedi il forum, il sito utiu.students, e lo stesso Diigo, questa nuova piattaforma non sembra poi così rivoluzionaria... anzi, credo sia strano che non sia arrivata prima. In ogni caso guardo sempre con interesse a tutti quei mezzi che permettono la co-costruzione e la condivisione delal conoscenza!
Tucconi Tiziana

Il multitasking fa bene alle donne? - 0 views

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    PSICOLOGIA Studio sul quoziente intellettivo: la tendenza è forte nei Paesi occidentali, dove la parità dei sessi è raggiunta o quasi. Il segreto nella vita 'stressante': giostrare tra casa e lavoro ha fatto crescere l'ingegno dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI LONDRA - Le donne sono più intelligenti degli uomini.
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    INTERESSANTE ARTICOLO DI REPUBBLICA
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    Sembra che essere multitasking oggi sia diventato un vero e proprio stile di vita soprattutto coniugato al femminile. James Flynn, lo psicologo considerato la maggiore autorità mondiale in materia, spiega che il responsabile di ciò sia la modernità che è stata uno stimolo più per le donne che per gli uomini. I dati da lui raccolti indicano infatti che il QI femminile è cresciuto ancora di più di quello maschile. Le donne d'oggi, costrette a una vita multitasking in cui devono giostrare allo stesso tempo famiglia e lavoro, sembra abbiano sviluppato una maggiore intelligenza. L'altra è che abbiano sempre avuto potenzialmente un'intelligenza superiore agli uomini, ma solo adesso possano esprimerla, perché più libere di avere un ruolo autonomo. "Le donne sono state per secoli il sesso svantaggiato, represso", commenta Flynn. "Ora che sono diventate indipendenti si vede meglio quanto valgono". Forse sarebbe meglio raggiungere davvero un punto di equilibrio chiedendosi se ora che possiamo fregiarci di essere "donne multitasking" siamo certi che questo non sia un ulteriore elemento di svantaggio per le donne piuttosto che un veicolo, molto ben confezionato, che favorisca soltanto una naturale predisposizione maschile a svolgere meno attività? E soprattutto siamo certi che se il QI sale per effetto del multitasking ciò non svilisca un tipo di intelligenza derivante da un atteggiamento maggiormente riflessivo sul pensare invece che sul fare?
isabella isabella

mulltitasking e psicotecnologie - 6 views

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    il cervello al giorno d'oggi
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    Al giorno d' oggi con l' accrescersi della societa' della informazione il cervello si abitua a svolgere piu' compiti simultaneamente (multitasking work) senza provocare interferenze. Come nel computer si ha la possibilità di aprire varie finestre ed elaborare in parallelo le informazioni anche il nostro cervello e capace di elaborare piu' compiti contemporaneamente. La formazione cerebrale diviene in tal modo piu' flessibile e capace di suddividere la attenzione in molteplici attivita' di elaborazione delle memorie e breve termine. L' utilizzare le molteplici capacita' di integrazione cerebrale della informazion, come si fa con lo "zapping in TV", va' pero' a discapito della concentrazione attenzionale e percettiva. Pertanto , come si puo osservare dagli studi di Risonanza Magnetica Funzionale del Cervello ( RMf-Brain -Imagin), la elaborazione della parallela della informazione va ad attivare ben poco le zone centrali del cervello responsabili del confronto con i processi mnemonici a lungo termine ( Talamo ed Ipotalamo). Pertanto il passaggio da una formazione di tipo logico-seriale, ad una piu' propria dell' e.learning mediata dalla utilizzazione del computer, comporta una maggior capacita' di elaborazione immediata e flessibile delle informazione, ma sostanzialmente deprime i processi di formazione delle memoria a lungo termine. In conclusione l' abitudine a saltare da un processo di integrazione cerebrale della informazione ad un altro con una elevata frequenza, certamente cambia la forma di intelligenza poiche' cambiano le modalità di articolare il pensiero, aumentando contemporaneamente lo stress e diminuendo il controllo della percezione cosciente, determinato in precedenza dal confronto costante con ma memoria a lungo termine. Infine e stato notato che i modelli modulari e flessibili della attenzione sono piu' appropriati al cervello femminile che e' mediamente piu' capace di passare da un compito all'
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    il multitasking è l'essenza della nuova era, i giovani sono sempre più mutitasking, anche nella vita quotidiana, è facile vedere persone che anche alla guida, scrivono sms, mentre ascoltano la radio e magari fumano anche una sigaretta, dando uno sguardo di tanto in tanto al percorso sul navigatore..
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    La locuzione Homo Zappiens è stata coniata da Wim Veen e Ben Vrakking, rispettivamente professore e ricercatore all'Università di Delft, per indicare la generazione digitale, cioè quei giovani nati e cresciuti all'ombra delle tecnologie mentali, abili nel gestire il flusso (o il sovraccarico) di informazioni che circola nei nuovi media, nell'intrecciare le comunicazioni faccia a faccia con quelle virtuali e nello sfruttare i loro interlocutori connessi in rete per risolvere in modo cooperativo i loro problemi, a volte capaci di fornire un contributo sia pur minimo alle conoscenze condivise. HZ apprende esplorando e giocando, cioè trasferendo le tecniche dei videogiochi a problemi di varia natura e impadronendosi di conoscenze che non fanno più parte di un canone scolastico semifisso ma sono negoziabili e mutevoli a seconda del contesto e delle circostanze. Queste capacità e caratteristiche di apprendimento saranno utilissime a HZ nella società della conoscenza "liquida" che si profila. Interessante è il rapporto di HZ con la scuola: il tempo di attenzione breve, il comportamento iperattivo, l'indipendenza nell'apprendere fanno dello scolaro HZ un soggetto difficile ma stimolante, che richiede metodi nuovi e originali di insegnamento. E, sostiene Veen, è la scuola che si deve adattare a HZ perché la società che si annuncia avrà bisogno di persone capaci di affrontare la complessità, la mutevolezza, l'adattamento e l'incertezza. Gli insegnanti sono sottoposti a una forte tensione, che deriva dalle diverse abitudini cognitive e attive rispetto a HZ e dalla diversa architettura cerebrale. I giovani digitali sono impazienti, vogliono immediatamente le risposte ai loro quesiti, non si concentrano per risolvere categorie di problemi, ma si gettano sul caso particolare passando subito oltre, non fanno mai una sola cosa alla volta, saltano da Internet alla TV, dal cellulare all'iPod con una divisione di tempo vertiginosa che sfiora la simulta
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    Eppure molte ricerche sul multitasking, ne riporto una in particolare, dimostrano il contrario: http://www.psych.utah.edu/lab/appliedcognition/publications/supertaskers.pdf Una sola minoranza di individui (3 su 100) dimostrano di essere a loro agio nell'operare in multitasking il resto invece registra un evidente calo di attenzione e concentrazione. Frank Schirrmacher ha scritto un bel libro "La libertà ritrovata" su questo argomento. Sembra che proprio il multitasking sia responsabile della fatica che i giovani fanno a leggere testi lunghi, del loro distrarsi facilmente, della loro incapacità di astrazione. Però io reputo il tuo contributo corretto e appropriato. La presenza di diverse linee di ricerca anche contradditorie non è altro che il segno dell'importanza e dell'attenzione che riveste questo argomento. Giustamente considerato come sostanziale in quest'epoca digitale.
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    L'articolo è interessante, personalmente vorrei aggiungere che il cervello è per sua natura multitasking. Si pensi alle azioni che esso compie ogni giorno anche senza ausilio del computer. Un esempio? Pensiamo a quando siamo alla guida di un auto, quante cose facciamo contemporaneamente? Guidiamo, per prima cosa, una attività che per chi ha imparato diviene un automatismo, pensiamo (se siamo soli alla guida del mezzo), conversiamo se siamo in compagnia e magari ascoltiamo la radio (eviterei di usare il telefonino, quello è pericoloso). Se riflettiamo su questo il funzionamento del cervello appare più stupefacente dal momento che eseguo più azioni contemporaneamente. Un altro esempio può essere l'azione di attraversamento di una strada trafficata a piedi. Anche in questo caso, a prima vista banale, il nostro cervello esegue una serie di valutazioni rapidissime e complesse. L'osservazione del percorso, la valutazione della velocità delle auto, la distanza da attraversare, il calcolo del tempo necessario a percorrere il tragitto. Tutto ciò implica una serie di valutazioni e calcoli che la nostra mente deve eseguire in pochissimo tempo. Alcuni scienziati hano confermato che far attraversare la strada ad un automa è molto difficoltoso. Il cervello ha quindi delle grandi potenzialità potendo eseguire più operazioni contemporaneamente. Oggi ci troviamo immersi in un flusso informativo di ampia portata, seguire tutto è impossibile ma il cervello opera delle scelte. L'utilizzo dei nuovi mezzi tecnologici determinerà (o già lo stà facendo) una variazione del modo di vivere e di pensare. Il genere umano è molto adattabile come dimostrano le teorie evoluzionistiche.
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    Condivido il fatto che la nostra società ormai ci "obbliga" a fare tante cose in contemporanea e penso che sia discutibile il fatto che queste cose siano fatte bene. E' sicuramente vero che oggi facciamo tante cose che sfuggono al controllo della nostra coscienza e vengono fatte in modo automatico, come guidare l'auto, camminare, respirare, salutare....L'automatismo viene meno quando durante la guida avvertiamo un pericolo, in questo caso sarà normale interrompere le nostre discussioni o l'ascoltare la radio, concentrando la nostra attenzione sulla guida e il "controllo" dell'auto. Lo stesso vale mentre camminiamo, l'automatismo smette quando dobbiamo attraversare la strada in coincidenza di un semaforo. Penso che il cervello multitasking viene messo in crisi, se al posto di automatismi abbiamo la necessità di ragionare e prendere rapidamente delle decisioni, in questo caso non possiamo distogliere "risorse" per essere multitasking
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    Fulvio nel mio post precedente non ho contemplato le situazioni di stress decisionale. Certo il tempo di reazione è fondamentale e anche questa è una carattersitica del nostro cervello. Interrompere un'azione per prendere una rapida decisione è una peculiarità che può essere variabile da individuo a individuo (personalmente sono un pò lento) e dipende dalle proprie potenzialità. Qualcuno ha pensato a come misurarle. Penso che troverai interessante il contributo "Multitasking vs. Continuous Partial Attention".
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    L'articolo riporta correttamente (seppur con la necessaria sintesi della scrittura per il web - giusto una cartella) i pro e i contro che gli studiosi intravedono nel multitasking. Gli argomenti di fondo sono quelli che De Kerckhove affronta nel confronto con le tesi di Nicholas Carr, autore di "Google ci sta rendendo stupidi?", al quale contrappone una visione più favorevole pur senza nascondersi ricadute negative.
valeria de luca

UNA IPOTESI DI RICERCA MOLTO EVOCATIVA SU RAPPORTO TRA DNA E PENSIERO, FATTA DA DUE RIC... - 4 views

DNA E Pensiero Affascinante ipotesi dalla Russia, sul ruolo del DNA in generale, che si ricollega in qualche modo al pensiero esoterico e alla tradizione dei "maestri spirituali", secondo cui il n...

started by valeria de luca on 09 Mar 12 no follow-up yet
Anna Sposato

bullismo e cyberbullismo - 1 views

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    In questa società perseguitata dalla tecnologia, la violena non si ferma, soprattutto negli adolescenti. Ecco che il fenomeno del bullismo non si ferma in classe ma si propaga anche sul web.
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    Il fenomeno sembra persino più subdolo del "bullismo tradizionale" in quanto il bullo del cyberspazio riesce a nascondersi dietro l'anonimato; persone che nella vita "reale" non troverebbero il coraggio di agire da bulli riescono a farlo riparandosi tra le maglie di internet, inoltre la fascia di età coinvolta in questo fenomeno è più ampia, non rigaurda principalmente gli adolescenti e gli alunni delle scuole primarie come il "bullismo tradizionale" ma anche quelli delle secondarie, università, adulti. La tecnologia è sicuramente un utile strumento di comunicazione e condivisione delle informazioni ma se alla base non c'è uno sforzo educativo svolto a un'educazione emozionale non serve a formare un'umanità più cosciente e responsabile, i limiti e i difetti che da millenni conosciamo nel genere umano si ripropongono a volte addirittura esasperati nel web.
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    Deve essere di grande attenzione la comprensione delle dinamiche sottostanti al cyberbullismo, i vissuti e le reazioni dei ragazzi coinvolti. Nel bullismo si hanno prevaricazione tra pari, infatti, avvengono per lo più tra compagni di classe o di scuola, ovvero tra persone che, volontariamente o meno, condividono tempo, ambiente ed esperienze. Persone che hanno dei sentimenti che vengono feriti nel momento in cui ci si sente rifiutati, minacciati, offesi. Vittime giovani, adolescenti e preadolescenti, che spesso si vergognano a parlarne con qualcuno, per il timore di un giudizio negativo o per la paura di ricevere, da parte dell'altro, un'ulteriore conferma del proprio essere debole. E, dall'altra parte, che dire del bullo? Viene etichettato e, in questo modo, un ruolo assunto in un contesto finisce per essere considerato, dagli altri, un tratto della sua personalità; invece bullo non è una persona, è un ruolo. Del bullismo si parla già molto, mentre il cyberbullismo è una forma nuova e forse più nascosta perché meno eclatante (soprattutto se confrontata col bullismo fisico). E' una manifestazione sottile del bullismo, a mio avviso, sempre più impattante, che arreca un grande malessere "moderno" per i ragazzi che ne sono coinvolti: è una situazione complessa da cui è, forse, ancora più difficile difendersi.
ANNALISA PASCUCCI

Apprendimento linguistico, computer ed internet - 1997 - 0 views

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Educazione Scuola Lingua Apprendimento Nuove Tecnologie

started by ANNALISA PASCUCCI on 21 Jun 13 no follow-up yet
Ivan Romano

I "nativi digitali" figli di una nuova intelligenza, quella digitale. - 11 views

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    C'è chi come Carr ritiene che l'eccessivo multitasking dell'era digitale ci stia rendendo stupidi, c'è poi chi come il prof. De Kerckhove o il prof. Paolo Ferri (univ. Milano-Bicocca) ritiene invece che si possa parlare di una nuova forma di intelligenza. Nell'articolo che posto tratto dal Corriere viene presentato il libro del prof. Ferri "Nativi digitali". Questa definizione, coniata nel 2001 dallo studioso Marc Prensky, sottolinea la peculiarità di chi oggi ha meno di 15-16 anni ed è nato e cresciuto tra le tecnologie elettroniche; in contrapposizione all'"immigrante digitale", che invece ha incontrato tali tecnologie in una fase successiva della sua vita. Secondo il prof. Ferri, non è vero, che il digitale rende stupidi e favorisce la solitudine; ma può accadere che la modalità di conoscenza veloce e condivisa dei più giovani li esponga a rischi nuovi, come la superficialità, l'incapacità di tollerare le attese o di gestire la privacy. Limiti di fronte a cui il ruolo educativo degli adulti (genitori, insegnanti, istituzioni) diventa fondamentale. C'è quindi la necessità che gli "immigranti digitali" dialoghino dall'alto della loro esperienza con i "nativi digitali"; azzerando i pregiudizi e instaurando un rapporto costruttivo per entrambi.
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    Molto interessante. Per approfondire la cosa si vedano anche i seguenti video su youtube dove l'autore parla dettagliatamente dell'argomento. Video 1 Introduzione http://www.youtube.com/watch?v=8mwFtYfWXQo&feature=relmfu Video 2 Chi sono i Nativi digitali? http://www.youtube.com/watch?v=hYSxvwtdKso Video 3 Intelligenza digitale: http://www.youtube.com/watch?v=EacYvdoeCLg&feature=relmfu Video 4 Immigranti digitali: http://www.youtube.com/watch?v=u7c7Ubk-2S4&feature=relmfu Video 5 Nativi Digitali crescono: http://www.youtube.com/watch?v=5jUJD-WWAIw&feature=relmfu
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    #Intelligence #Multitasking http://www.tecalibri.info/F/FERRI-P_nativi.htm Autore: Paolo Ferri - Titolo: Nativi digitali - Edizioni: Bruno Mondadori "Secondo un fortunato apologo attribuito a Seymour Papert (1996), se un alieno dalla vita millenaria fosse ritornato sulla Terra nel 2000 dopo cinquecento anni di assenza, avrebbe trovato irriconoscibili i laboratori scientifici - per esempio quelli di fisica, non potendo mettere a confronto gli studi di Newton e Galileo con i Bell Labs o il CERN -, ma avrebbe riconosciuto facilmente un luogo deputato alle assemblee politiche, una chiesa o un'aula scolastica: non molto è cambiato da allora." Trovo interessante il titolo ed il contenuto del primo capitolo: "1 - Una razza in via di apparizione" Un ulteriore contributo può esser chiarificatore: Da 0 a 12 anni, l'identikit dei veri nativi digitali http://daily.wired.it/news/internet/ecco-chi-sono-i-nativi-digitali.html Chi sono i nativi digitali? Il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età? Una ricerca a cura del Gruppo NumediaBios e dell'università Milano Bicocca dà una risposta. Ciò che emerge è chiaro: la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa, a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati. I nativi sono, infatti, una specie in via di apparizione, all'interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell'età e quindi dell'esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Emergono tre tipologie diffe
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    La classe politica italiana, citata dalla Rastelli nella recensione del libro di Ferri, risponde con il decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179 " Ulteriori misure per la Crescita del Paese" dove, nell'ottica di favorire la crescita e lo sviluppo dell'economia e della cultura digitali, affronta temi che vanno dall'agenda e dall'identità digitale, al domicilio digitale del cittadino, alla posta certificata, passando per la sanità digitale, libri e centri scolastici digitali, innovazioni nei sistemi di trasporto pubblico, moneta elettronica, ricerca e innovazione e comunità intelligenti. Per chi vuole approfondire ecco il link alla Gazzetta Ufficiale: http://www.gazzettaufficiale.it/moduli/DL_181012_179.pdf
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    c'e un interessante articolo di sole 24 ore sull'argomento nativi digitali che vi invio per una riflessione sulle nuove generazioni che vivono e crescono con le nuove tecnologie : ddio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso. Chi sono questi famigerati «nativi digitali», nati e cresciuti a rivoluzione internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma Comparative media studies del Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è «partecipativa» e si fonda su «produzione e condivisione di creazioni digitali» e su una «partnership informale» tra insegnanti e alunni, che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un «facilitatore», che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente. «Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita», spiega Paolo Ferri, docente di Tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, «e considerano internet il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione». È la prima generazione (che oggi ha tra gli 0 e i 12 anni) veramente hitech, che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli maggiori. «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», prosegue Ferri, che studia e promuove da anni il «digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellular
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    Collegato al tema dei nativi digitali e, in particolare, alla loro formazione segnalo l'interessante libro di George Veletsianos "Emerging technologies in distance education". George Veletsianos è un assistente professore di tecnologia didattica presso l'Università del Texas. La sua ricerca e gli interessi di insegnamento comprendono la progettazione, lo sviluppo e la valutazione di ambienti di apprendimento digitale, con particolare attenzione alla formazione per mezzo di personaggi virtuali, tecnologie emergenti, e all'esperienza dello studente. Questo libro, disponibile in Creative Commons Licence su www.aupress.ca, mette in mostra il lavoro internazionale di studiosi di ricerca e professionisti della formazione a distanza, che utilizzano emergenti tecnologie interattive per l'insegnamento e l'apprendimento a distanza. Esso raccoglie le conoscenze disperse di esperti internazionali che mettono in evidenza fattori pedagogici, organizzativi, culturali, sociali, ed economici che influenzano l'adozione e l'integrazione di tecnologie emergenti nella formazione a distanza. Emerging technologies in distance education fornisce una consulenza di esperti su come sia possibile lanciare efficaci e coinvolgenti iniziative di formazione a distanza, in risposta alle innovazioni tecnologiche, cambiando mentalità e le pressioni economiche e organizzative. Il volume va oltre l'hype che circonda le tecnologie Web 2.0 e mette in evidenza le questioni importanti che i ricercatori e gli educatori devono prendere in considerazione per migliorare la pratica educativa.
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    Beh che dire questo articolo è attinente al programma di Psicotecnologie e si riallaccia a quanto detto dal Prof. De Kerckhove nella sua lezione "is Google making us stupid?". Le conclusioni a cui arrivano i due Prof sono simili. Il Multitasking non ci rende più stupidi come invece sembrerebbe emergere da uno studio della Stanford University condotto su di un campione di 100 studenti. Nel mio piccolo devo ammettere che condivido le posizioni di Jacobs emerse in questo articolo (già condiviso per altro da un altro collega) :http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_23/multitasking-rodota_b6937564-6685-11df-b272-00144f02aabe.shtml Jacobs riprende un po' quanto detto da Carr e cioè che il multitasking non ci rende migliori ma semplicemente ci fa fare più cose assieme e tutte, in un certo qual modo,"male". Il termine "male" va spiegato un po' meglio, con il multitasking facciamo più cose assieme e le facciamo peggio di come le faremo se ne facessimo una alla volta, in questo senso ho usato il termine "male". Secondo me il punto centrale, parlando di multitasking, è che la nostra società oggi ci obbliga a far più cose simultaneamente e se per certi studiosi questo ci porta a fare più cose in modo peggiore è anche vero, come dice il Prof.De Kerckhove, che quest'abilità è prerogativa delle nuove generazioni. In ultima analisi, oggi dobbiamo saper fare un po' tutto (mandare email, usare la chat, navigare in internet ecc...) e se questo ci rende un po' meno capaci "nello specifico" è un sacrificio da poter fare in nome dell'evoluzione tecnologica.
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    Su BBC news del 20 Novembre, nell'articolo "What makes us intelligent?" si parla di un argomento simile anche se lo studio non parla solo delle nuove generazioni, quelle cosiddette 2.0 . Lo strumento digitale ci rende più stupidi? Anche qui viene rilevato che non memorizziamo più le cose come un tempo, non tanto per ridotta capacità quanto per una naturale efficienza mentale: perché usare tempo e spazio per attingere a cose facilmente reperibili con altri strumenti? Il filosofo Andy Clark ha definito gli uomini "natural born cyborg" dato che riescono ad integrarsi e incorporare i nuovi strumenti che la tecnologia ci può offrire per sfruttarli e magari nel frattempo allargare le nostre competenze, occuparci di più tasks, e non è detto che sia in maniera più superficiale.
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    Allora io sono un "immigrato digitale" ! Come molti ho assistito ai primi pc (da bambino giocavo con il commodore 64 e a scuola ci facevano fare dei test con un programma grafico chiamato "tartaruga" , una sorta di triangolo verde che segnava linee sullo schermo), ricordo le prime piattaforme per videogiochi, il modem a 56k, i primi video presenti in rete, etc Assecondare le tecnologie non è sempre stato facile perchè occorre sempre un fuoriuscire da ciò che si conosce (ammetto l'estraneità -ma anche il divertimento- che ho provato la prima volta che a casa d'amici ho usato una Wii), un testare cose nuove che magari ritenevi per se inutili (quando è merso il cloud inizialmente mi sono chiesto "ma perchè questa cosa?, ci vogliono controllare meglio?"...a pensarci oggi viene quasi da sorridere) Ritengo utile quindi creare un ponte tra "nativi digitali" e "immigrati digitali", non tanto perchè ci spieghino come funzionano le tecnologie (magari le usiamo megli di loro) ma per cogliere le differenze di visione, d'umanità e di prospettive che ci possono essere tra generazioni diverse
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    Sarei curioso di vedere l'effetti di questa nuova digitalita' fra 30-40 anni, sentendo parlare esperti del rorschach la nostra intelligenta, di Italiani, e' peggiorata tantissimo, abbiamo perso l'intelligenza operativa di fare le cose, l'accuratezza di ricercarle e avere pazienza di farlo! Spero che sia solo un catastrofismo personale di chi ha detto questa cosa, ma ogni cambiamento non puo' per forza di cose portare solo vantaggi... magari...
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    Personalmente non ritengo che l'intelligenza digitale, e quindi google e tutti i social network, ci rendano stupidi. E' solo un modo diverso di fare comunità, condivisibile o meno a seconda dell'età e contesto sociale. Certo dalla nostra generazione(40enni) a quella dei nostro figli 12-16enni, molto è cambiato. Io facevo le ricerche sulle enciclopedie che disponevo in casa, per poi trascrivere il tutto a penna sul quaderno, ora base dati il network, e con un rapido ctrl c, ctrl v, si ha subito ed in maniera eficiente una qualsiasi ricerca. Certo un pò di abilità di come muoversi nel web ci vuole. Però ci dobbiamo adeguare ai nuovi sistemi che ormai sono parte integrante del nostro vivere, conoscere e relazionarsi.
andrea cristofalo

come il multitasking cambia il cervello - 15 views

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    Prendo spunto da questo breve articolo che illustra molto rapidamente come le nuove tecnologie possano cambiare il cervello per fare un parallelo con uno degli argomenti che abbiamo discusso oggi con alcuni colleghi: cioè come cambia il "ruolo" del pc nel corso del tempo, da "pc cognitivista" a "pc costruttivista"
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    Interessante riflessione sulle modificazioni che si hanno con l'uso del PC, delle conoscenze condivise, ecc. Peccato sia molto breve, sarebbe stato utile avere qualche approfondimento.
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    Si tratta di una intervista molto interessante che suggerisce come la configurazione dell'ambiente innovata dalle tecnologie dell'informazione incide sullo sviluppo cognitivo delle persone; in particolare viene affrontato il tema dell'attenzione e di come i processi di attenzione vengano influenzati dal multitasking. Si tratta ancora di un campo molto interessante ma per parlare di risultati consolidati bisognerà aspettare un po' di tempo.
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    Gli studi e le ricerche sul multitasking ci lasciano aperti a diverse interpretazioni di questo fenomeno, nella cui valutazione non possiamo trascurare un'adeguata considerazione anche dei fattori socio-culturali. Nonostante sia largamente dimostrato dalla ricerca scientifica che l'essere umano possiede risorse attentive limitate e che occuparsi di due o più compiti simultaneamente può compromettere la qualità della prestazione, il multitasking viene oggigiorno considerato un modo efficace di approcciarsi ai molteplici compiti a cui l'individuo viene sottoposto quotidianamente.Non è ancora possibile stabilire con certezza se l'efficacia del multitasking sia un mito da sfatare o meno. È presumibile che questa modalità di lavoro abbia effetti altamente dannosi quando tutti i compiti richiedono la stessa quantità di attenzione e che invece la prestazione non risenta di alcun effetto negativo se i compiti secondari sono meno impegnativi rispetto al compito principale. Sarà dunque opportuno proseguire con la ricerca al fine di stabilire gli effetti del multitasking e come essi varino a seconda delle condizioni prese in esame.
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    Il multitasking è un argomento che mi ha sempre interessato e questo articolo ne sottolinea un aspetto che resta sempre un po' fuori dalla narrativa comune: ciò che facciamo ogni giorno plasma le nostre capacità e con il tempo (indubbiamente molto!) anche la nostra struttura cerebrale! Bello spunto!
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    Questo articolo sostiene che l'esercizio ha la capacità di cambiare il volume e il modo in qui funziona il nostro cervello. Mi ha fatto pensare alla demenza dell'Alzheimer, nella quale si osserva che la corteccia cerebrale si accartoccia e si osserva una diminuzione grave dell'ippocampo. Sorge allora uno spunto di riflessione: La tecnologia, potrebbe assistere nel mantenimento della salute cognitiva grazie all'apprendimento di cose nuove e connessioni sociali che potrebbero rallentare lo sviluppo della malattia?
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    Questo articolo fa riflettere su quanto sia vera questa routine ormai normale di fare più cose contemporaneamente. Interessante il confronto tra giovani nati con la tecnologia a portata di mano e anziani che hanno da poco conosciuto questo nuovo mondo. Ritengo che da un lato sia sicuramente positivo e costruttivo l'essere sempre più multitasking, anche se dall'altro lato la tecnologia no stop allontana l'uomo dal concentrarsi profondamente su un singolo compito da svolgere, e da quella che era l'autenticità che ha caratterizzato la vita quotidiana di coloro che sono nati e cresciuti in un modo privo di tecnologia.
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    Sono stati fatti numerosi studi su tale argomento, visto che ormai ci riguarda molto da vicino. Molti ricercatori hanno espresso pareri discordanti circa gli effetti positivi e negativi di questo attualissimo fenomeno. Alcuni studi hano evidenziato come il multitasking contribuisca ad alzare i livelli di cortisolo; ormone responsabile dello stress, mentre studi diversi hanno indagato le conseguenze del multitasking sugli adolescenti. I nativi digitali avrebbero un rendimento scolastico migliore proprio perchè, abituati all'attenzione frammentata, utilizzerebbero maggiormente la memoria di lavoro.
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    Una riflessione in merito al multitasking la farei puntando l'attenzione sul sovraccarico cognitivo dovuto alle numerose sollecitazioni che avvengono in poco tempo che il cervello deve rielaborare. Io me ne accorgo banalmente quando decido di essere off line per una o due giornate (di solito nel weekend). Ho una sensazione di benessere maggiore. Comunque non sono addicted per cui non sento lo stress e l'ansia di non essere connessa. Un altro spunto di riflessione è il contenuto di profondità. Sempre tramite l'auto- osservazione, il multitasking non ti consente di approfondire (temi, contenuti e anche relazioni) l'attenzione è distribuita e addirittura frammentata. Ciò che è molto esteso orizzontalmente (sulla superficie) non riesce ad essere esteso anche verticalmente (in profondità). Non è un giudizio è una osservazione della diversa modalità di gestire contenuti, agire, interagire.
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    Decantare il multitasking come giusto o sbagliato é fuorviante, come si dice nell´articolo, le conseguenze le vedremo tra migliaia di anni. Io personalmente penso che una delle conseguenze negative, siano la frammentarietá dell´attenzione, che si riversa inevitabilmente anche nella nostra vita sociale e non solo nella nostra educazione.
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    Articolo breve e conciso sul multitasking, trovo che seppure alquanto sintetico, esplica in modo adeguato come i cambiamenti apportati dall'uso delle nuove tecnologie non necessariamente sono negative, e che se da un lato alleggerisce dal peso di eseguire alcune operaizoni mentali al tempo stesso stimola ad esercitare parti del cervello diverse. Se da un lato la distribuzione dell'attenzione puó rendere difficoltoso concentrarsi su un unico compito in maniera adeguata, permette d'altro canto il multitasking, una capacitá sempre piú sviluppata tra i giovani che fanno uso delle nuove tecnologie quotidianamente. Trovo che l'articolo sia pertinente ai contenuti della materia, spunto di riflessione interessante che completa il materiale didattico di psicotecnologie.
s-marcandalli

La tecnologia e il nostro cervello: alleati o nemici? - 1 views

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    L'articolo sopra riportato illustra come la tecnologia abbiamo cambiato la società e il cervello dell'essere umano. Per quanto riguarda la società, l'informazione è divenuta l'elemento centrale attorno cui ruota tutto, da ciò deriva la coniazione del termine Infosfera da parte dal filosofo Luciano Floridi, per indicare il mondo odierno dove la realtà e il digitale si sono fusi. In merito a quanto appena detto viene fatto riferimento a come la realtà aumentata offra nuove possibilità all'individuo, che può avvalersi di strumentazioni tecnologici per reperire informazioni dall'ambiente circostante mediante l'ausilio di smartphone, tablet e nuove tecnologie come i Google Glass. Tutto ciò rientra nel costrutto di Distributed Cognition e questa fusione tra realtà e digitale potrà essere sfruttata anche per l'apprendimento di nuovi saperi. Per quanto concerne i cambiamenti che la tecnologia abbia innescato nel cervello umano, viene citato lo studio condotto da Nicholas Carr, il quale evidenzia come il costante impiego di device tecnologici modifiche le connessioni neuronali. Interessante appare lo studio condotto da 2 università, il College di London e quella del Sussex, che hanno riscontrato una maggior impulsività negli abituali utilizzatori di devices tecnologici del gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo composto da individui che facevano uso sporadico di un solo dispositivo, è ciò è stato ricondotto ad un minor quantitativo di sostanza grigia nella corteccia cingolata anteriore dei primi, struttura responsabile del controllo emotivo.
Giulia Ranisi

E-patients, e-parents, e-doctors - 5 views

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    l'articolo parla del corso E-patients, e-parents, e-doctors, organizzato da Telethon, Orphanet e Bambino Gesù che conguntamente lavorano per temi quali le MR e in particolare per fare luce su rischi e benefici della comunicazione 2.0 A cui ho partecipato sia nella compilazione del questonario che nel seguire il convegno (disponibile anche on line) sul portale opbg.net. Per mettere a disposizione dei pazienti, delle loro famiglie, dei medici, dei ricercatori e dei professionisti sanitari le linee guida sull'uso responsabile del web e per approfondire la conoscenza dei siti internet e dei social network come strumenti a supporto della comunicazione sulle malattie rare. Ho postato questo articolo per riflettere su quello che è l'mpatto delle nuove tecnologie in quello che può essere un'apprendimento condiviso che in qesto caso è un apprendimento di esperienze condivise sull'affrontare un tema particolare e di nicchia nei quali li attori coinvolti fno a soli 10 anni fà brancolavano nel buio. E di come oggi sia possibile alle stesse famiglie, di diventare protagoniste attive delle loro realtà, per garantire un futuro migliore ai piccoli pazienti affetti da malattie rare e avere maggiore consapevlezza, per affrontare delle realtà tanto complesse. Gli sviluppi della comunicazione del web consentono oggi ai pazienti di avere strumenti quali una rete integrata che è Orphanet, di seguito vi giro un link del portale OPBG nel quale c'e' la presentazione di cosa sia Orphanet e dell'impatto che ha. cosa è orphanet http://www.ospedalebambinogesu.it/Portale2008/ItemFiles%5C09_20_Dallapiccola_-_Orphanet_Italia-Telethon_2012.pdf
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    Infine aggiungo un articolo che parla di malattie rare e in cui a sottolineare la mia personale riflessione sull'articolo di partenza, vi sono le testimonianze dei genitori in cui si parla di malattie rare e ne dà una descrizione sommaria su quale sia oggi la situazione attuale in merito. http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=13540 Ricapitolando vorrei condividere con voi queste riflessioni e integrarle. Secondo voi quali sono punti di forza del web in un ambito di gruppi di auto-aiuto e di esperienze condivise da famiglie che affrontano temi specifici es come le malattie rare? In mente i primi punti che mi vengono in mente sono: rapporto simmetrico tra gli attori comunicazione sia diacronica che in tempo reale condivisione dell'esperienza aumento della consapevolezza non ci sono limiti o finestre temporali specifiche interattività feedback Soggettività dei temi trattati Solidarietà punti deboli rapporto umano F2F burn out dell'attore coinvolto e attivo attendibilità delle fonti dispersione e irrilevanza dei messaggi aperto solo a chi è nel web Grazie per la vostra pazienza nel seguire la mia riflessione forse un pò troppo articolata. Un saluto Giulia.
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    Articolo estremamente interessante, il web costituisce un'importante risorsa e strumento per colore che cercano informazioni inerenti a patologie rare e poco conosciute, spesso trascurate dai media tradizionali. Tuttavia, come sottolineato all'interno dell'articolo, l'uso di internet come fonte d'informazioni mediche comporta anche dei rischi. Le informazioni presenti online possono essere spesso incomplete o errate, il che può portare ad un conseguente fraintendimento o scelte terapeutiche sbagliate; come per esempio viene evidenziato che non è da escludere la possibilità di cadere in trappole come la disinformazione medica o terapie "miracolose" che spesso vengono pubblicizzate su internet. È tuttavia fondamentale ricordare che l'accesso alle informazioni mediche online dovrebbero essere sempre integrate con la consulenza di medici e specialisti, così da garantire un'appropriata diagnosi.
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    Grazie per l'articolo e le riflessioni, l'argomento è appassionante! Scelgo di condividere una esperienza personale: ho conosciuto una coppia benestante che ha avuto un figlio affetto da sindrome di Wolf-Hirshhorn (WHS): https://www.orpha.net/it/disease/detail/280#:~:text=La%20sindrome%20di%20Wolf%2DHirshhorn,sviluppo%20psicomotorio%2C%20convulsioni%20e%20ipotonia. che è una malattia estremamente rara ed estremamente invalidante. I genitori lo hanno stimolato in ogni modo, si sono dedicati a questo figlio ricorrendo a specialisti di diverse discipline. Il figlio non è mai riuscito a parlare, e per 35 anni ha sempre e solo comunicato esigenze elementari della vita quotidiana attraverso l'uso delle tavole CAA (comunicazione alternativa aumentativa) indicando pittogrammi molto semplici con il dito. Non è in grado di tenere in mano una penna. Ormai adulto, gli è stato proposto, circa 5 anni fa, una attività con una educatrice che prese la decisione di parlare con lui solo attraverso l'uso del computer. L'educatrice, dopo un anno, ha incredibilmente ottenuto la prima parola scritta: Tchaikovsky! Ha continuato, solo con lei, a utilizzare questo metodo, scrivendo riflessioni argute ritenute impossibili con le sue condizioni di disabilità, e dimostrando, seppur con tempi molto dilatati, di aver appreso ed elaborato informazioni complesse. Concludo questo contributo: l'uso di piattaforme per la condivisione delle informazioni ci permette oggi di avere una divulgazione di "good practices" che sarebbe stata impensabile senza la tecnologia. #educazione #disabilità
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