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Home/ Psicotecnologie e Processi Formativi - Uninettuno/ Group items tagged intelligence

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Bruno Matti

Business intelligence - Wikipedia - 0 views

  • Le organizzazioni raccolgono dati per trarre informazioni, valutazioni e stime riguardo al contesto aziendale proprio e del mercato cui partecipano (ricerche di mercato e analisi degli scenari competitivi). Le organizzazioni utilizzano le informazioni raccolte attraverso una strategia di business intelligence per incrementare il loro vantaggio competitivo. Il termine Business Intelligence fin dall'origine ha ricompreso sia i più tradizionali sistemi di raccolta dei dati finalizzati ad analizzare il passato o il presente e a capirne i fenomeni, le cause dei problemi o le determinanti delle performance ottenute, sia i sistemi più rivolti a stimare o a predire il futuro, a simulare e a creare scenari con probabilità di manifestazione differente. Questi sistemi sono da sempre stati realizzati con mix differenti di software tools (ad es. di reporting, di analisi OLAP, di cruscotti) e di software applications, cioè contenenti vere logiche e regole applicative, rivolte al Performance Management (ad es. le applicazioni per le Balanced Scorecards o per il ciclo di budgeting e forecasting aziendale), all'ottimizzazione di alcune decisioni operative (ad es. nel campo dei trasporti e della logistica o del revenue management) oppure finalizzate alle previsioni e alle predizioni future, impiegando funzioni statistiche anche molto sofisticate; tutte queste software applications nel tempo hanno preso nomi diversi ma dal significato simile, quali Analytic Applications, Analytics, Business Analytics (si veda anche Davenport, 2007, 2010; Turban, 2010; Pasini, 2004). Il termine Business Intelligence allude quindi ad un campo molto ampio di attività, sistemi informativi aziendali e tecnologie informatiche finalizzate a supportare, e in qualche caso ad automatizzare, processi di misurazione, controllo e analisi dei risultati e delle performance aziendali (sistemi di reporting e di visualizzazione grafica di varia natura, cruscotti più o meno dinamici, sistemi di analisi storica, sistemi di "allarme" su fuori norma o eccezioni, ecc.), e processi di decisione aziendale in condizioni variabili di incertezza (sistemi di previsione, di predizione, di simulazione e di costruzione di scenari alternativi, ecc.), il tutto integrato nel classico processo generale di "misurazione, analisi, decisione, azione". Generalmente le informazioni vengono raccolte per scopi direzionali interni e per il controllo di gestione. I dati raccolti vengono opportunamente elaborati e vengono utilizzati per supportare concretamente - sulla base di dati attuali - le decisioni di chi occupa ruoli direzionali (capire l'andamento delle performance dell'azienda, generare stime previsionali, ipotizzare scenari futuri e future strategie di risposta). In secondo luogo le informazioni possono essere analizzate a differenti livelli di dettaglio e gerarchico per qualsiasi altra funzione aziendale: marketing, commerciale, finanza, personale o altre. Le fonti informative sono generalmente interne, provenienti dai sistemi informativi aziendali ed integrate tra loro secondo le esigenze. In senso più ampio possono essere utilizzate informazioni provenienti da fonti esterne come esigenze della base dei clienti, pressione stimata degli azionisti, trend tecnologici o culturali fino al limite delle attività di spionaggio industriale. Ogni sistema di business intelligence ha un obiettivo preciso che deriva dalla vision aziendale e dagli obiettivi della gestione strategica di un'azienda.
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    Con la locuzione business intelligence () ci si può solitamente riferire a: un insieme di processi aziendali per raccogliere ed analizzare informazioni strategiche. la tecnologia utilizzata per realizzare questi processi, le informazioni ottenute come risultato di questi processi. Questa espressione è stata coniata nel 1958 da Hans Peter Luhn, ricercatore e inventore tedesco, mentre stava lavorando per IBM.
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    Business Intelligence (B.I.) un software atto a produrre statistiche grafiche in modo flessibile e approfondito, più o meno autonomamente dai programmi di gestione aziendale. In altre parole: è il processo che consente di analizzare la miriade di dati accumulati nei sistemi aziendali per estrarne valide indicazioni per lo sviluppo del business, la riduzione dei costi e l'incremento dei ricavi. La Business Intelligence nasce per trasformare i dati in informazioni utili e per compiere indagini in modo facile e completo sulla propria base dati aziendale. Una buona soluzione di Business Intelligence deve anche essere in grado di consentire l'introduzione di dati teorici, per rispondere al quesito "what if...", ovvero "cosa succederebbe se...", praticando così vere e proprie simulazioni di scenari ipotetici per valutarne immediatamente le conseguenze. Generalmente nei programmi di Business Intelligence l'informazione viene organizzata in righe e colonne, consentendo di porre i dati che interessa esaminare anche su più livelli di profondità. Si può, per esempio, esaminare il venduto per agente/famiglie di prodotti e all'occorrenza svolgere il cosiddetto drill down, per scendere anche a livello di dettaglio del singolo articolo venduto per una certa famiglia. Le analisi possono poi essere tradotte in vario modo anche in termini grafici, fornendo facilmente diagrammi, torte, cruscotti, ecc. ecc. oppure produrre report stampati. La Business Intelligence è dunque uno strumento strategico formidabile per il management aziendale e si differenzia notevolmente dall'uso di prodotti generici (come Excel, per esempio o le classiche statistiche fornite dallo stesso ERP e realizzate tramiti appositi rigidi programmi) per l'estrema attendibilità dei risultati e flessibilità delle informazioni ottenibili. Non dimentichiamo che lo scopo è quello di fornire risposte alle varie indagini sull'andamento dell'azienda e basare certe decisioni su un errore in una formula di Excel p
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    Per conto di Telecom Italia mi sono anche occupato di curare presentazioni per nostri Clienti di B. I. Sicuramente è uno strumento utilissimo in grado di rielaborare tutti i dati aziendali e fornire risposte in base a delle quary di interesse. Risparmio chiaramente di tempo, e per tutte le Aziende il tempo è denaro, che puo' essere dedicato all'elaborazione di strategie di mercato ad es, messe in atto alla luce dei dati analizzati. I ritorni da parte delle PMI, e parlo per esperienza, è sempre stato positivo e il ROI sempre garantito.
Gianluigi Cosi

E-learning and Multiple Intelligences: catering for different needs and learning styles - 1 views

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    This article aims to show the relationship between e-learning and multiple intelligences. Professor Howard Gardner proposes eight discrete intelligences: verbal-linguistic, logical-mathematical, visual-spatial, bodily-kinaesthetic, musical-rhythmic, interpersonal-social, intrapersonal-emotional and naturalistic. E-learning allows learners to be the agent of their own learning. Sometimes a task available may serve different learners, which also enables them to experiment with new ways of dealing with new knowledge. Therefore, it proves to be a great opportunity to enhance other intelligences. Undoubtedly one of the most crucial issues in e-learning is that it effectively grants the learner independence and autonomy. Fostering autonomous learning is of paramount importance when it comes to education. Contrary to the behaviourist classroom, where the primary role of the learner is as a relatively passive recipient of the knowledge transmitted by the teacher, e-learning allows students to negotiate meaning, solve problems, try out hypotheses and eventually, come up with a plausible answer or solution within their real-life context. The belief that applications of the new technologies should provide ways for a variety of minds to gain access to knowledge has gathered considerable strength over time. Last but not least, one should take into account the fact that learning is what matters and the World Wide Web has come to offer an array of tools so as to enable learners to become autonomous, not to mention to take part in the learning community.
davidedallapozza

How To Become More Intelligent (According to Einstein) - 0 views

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    Sono stato veramente colpito da questo articolo. Potrei averlo scritto io perche' sono completamente d'accordo con quello che ho letto. Ogni giorno e ogni settimana provo e a volte ci riesco a fare modifiche su me stesso. Nel momento in cui faccio anche un piccolo cambiamento nella giusta direzione, inizio a provare un flusso di motivazione, energia e slancio. Allenado una squadra di calcio nel massimo livello in Australia, ogni giorno grazie alla rete scopro cose nuove su come posso migliorare. E man mano che continuo a cambiare, la mia mente si espande sempre di piu', avendo cosi' maggiori intuizioni e idee positive. Questo e' uno dei motivi perche' ho sempre abitato in continenti diversi, cosi' sono obbligato a capire le lingue e tradizioni delle diverse culture. Se una persona non sta' imparando, crescendo, cambiando, rischiando, scoprendo e si limita solo a vivere nella sua confort zone fara' veramente fatica a capire cosa il mondo offre.
Ivan Romano

I "nativi digitali" figli di una nuova intelligenza, quella digitale. - 11 views

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    C'è chi come Carr ritiene che l'eccessivo multitasking dell'era digitale ci stia rendendo stupidi, c'è poi chi come il prof. De Kerckhove o il prof. Paolo Ferri (univ. Milano-Bicocca) ritiene invece che si possa parlare di una nuova forma di intelligenza. Nell'articolo che posto tratto dal Corriere viene presentato il libro del prof. Ferri "Nativi digitali". Questa definizione, coniata nel 2001 dallo studioso Marc Prensky, sottolinea la peculiarità di chi oggi ha meno di 15-16 anni ed è nato e cresciuto tra le tecnologie elettroniche; in contrapposizione all'"immigrante digitale", che invece ha incontrato tali tecnologie in una fase successiva della sua vita. Secondo il prof. Ferri, non è vero, che il digitale rende stupidi e favorisce la solitudine; ma può accadere che la modalità di conoscenza veloce e condivisa dei più giovani li esponga a rischi nuovi, come la superficialità, l'incapacità di tollerare le attese o di gestire la privacy. Limiti di fronte a cui il ruolo educativo degli adulti (genitori, insegnanti, istituzioni) diventa fondamentale. C'è quindi la necessità che gli "immigranti digitali" dialoghino dall'alto della loro esperienza con i "nativi digitali"; azzerando i pregiudizi e instaurando un rapporto costruttivo per entrambi.
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    Molto interessante. Per approfondire la cosa si vedano anche i seguenti video su youtube dove l'autore parla dettagliatamente dell'argomento. Video 1 Introduzione http://www.youtube.com/watch?v=8mwFtYfWXQo&feature=relmfu Video 2 Chi sono i Nativi digitali? http://www.youtube.com/watch?v=hYSxvwtdKso Video 3 Intelligenza digitale: http://www.youtube.com/watch?v=EacYvdoeCLg&feature=relmfu Video 4 Immigranti digitali: http://www.youtube.com/watch?v=u7c7Ubk-2S4&feature=relmfu Video 5 Nativi Digitali crescono: http://www.youtube.com/watch?v=5jUJD-WWAIw&feature=relmfu
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    #Intelligence #Multitasking http://www.tecalibri.info/F/FERRI-P_nativi.htm Autore: Paolo Ferri - Titolo: Nativi digitali - Edizioni: Bruno Mondadori "Secondo un fortunato apologo attribuito a Seymour Papert (1996), se un alieno dalla vita millenaria fosse ritornato sulla Terra nel 2000 dopo cinquecento anni di assenza, avrebbe trovato irriconoscibili i laboratori scientifici - per esempio quelli di fisica, non potendo mettere a confronto gli studi di Newton e Galileo con i Bell Labs o il CERN -, ma avrebbe riconosciuto facilmente un luogo deputato alle assemblee politiche, una chiesa o un'aula scolastica: non molto è cambiato da allora." Trovo interessante il titolo ed il contenuto del primo capitolo: "1 - Una razza in via di apparizione" Un ulteriore contributo può esser chiarificatore: Da 0 a 12 anni, l'identikit dei veri nativi digitali http://daily.wired.it/news/internet/ecco-chi-sono-i-nativi-digitali.html Chi sono i nativi digitali? Il loro modo di usare le tecnologie è legato alla loro età età? Una ricerca a cura del Gruppo NumediaBios e dell'università Milano Bicocca dà una risposta. Ciò che emerge è chiaro: la coppia oppositiva nativi/immigranti digitali è efficace ed esplicativa, a patto che non si considerino i nativi come una categoria unitaria e non si enfatizzi troppo la faglia tra nativi e immigrati. I nativi sono, infatti, una specie in via di apparizione, all'interno della quale possono essere individuate differenti popolazioni e stili di fruizione delle tecnologie, differenti a seconda dell'età e quindi dell'esposizione più o meno precoce alle tecnologie della comunicazione digitale. Emergono tre tipologie diffe
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    La classe politica italiana, citata dalla Rastelli nella recensione del libro di Ferri, risponde con il decreto legge del 18 ottobre 2012, n. 179 " Ulteriori misure per la Crescita del Paese" dove, nell'ottica di favorire la crescita e lo sviluppo dell'economia e della cultura digitali, affronta temi che vanno dall'agenda e dall'identità digitale, al domicilio digitale del cittadino, alla posta certificata, passando per la sanità digitale, libri e centri scolastici digitali, innovazioni nei sistemi di trasporto pubblico, moneta elettronica, ricerca e innovazione e comunità intelligenti. Per chi vuole approfondire ecco il link alla Gazzetta Ufficiale: http://www.gazzettaufficiale.it/moduli/DL_181012_179.pdf
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    c'e un interessante articolo di sole 24 ore sull'argomento nativi digitali che vi invio per una riflessione sulle nuove generazioni che vivono e crescono con le nuove tecnologie : ddio al vecchio sapere lineare fondato sulla parola scritta e sulla trasmissione di conoscenza maestro-alunno: imparare oggi ha la forma di un suk arabo nell'ora di punta. Tra social network, video-racconti su YouTube, la musica di MySpace, il linguaggio sincopato delle chat e le bufale online, gli studenti di nuova generazione hanno bisogno di una bussola per orientarsi. Ma la scuola non c'è. O meglio, non ce la fa: a studenti 2.0 corrispondono spesso istituti scolastici da secolo scorso. Chi sono questi famigerati «nativi digitali», nati e cresciuti a rivoluzione internet compiuta? Come ha scritto l'ex direttore del programma Comparative media studies del Mit di Boston, Henry Jenkins, la loro cultura è «partecipativa» e si fonda su «produzione e condivisione di creazioni digitali» e su una «partnership informale» tra insegnanti e alunni, che porta il bambino a sentirsi responsabile del progetto educativo. Il maestro non è più un trasmettitore di conoscenza ma un «facilitatore», che fa da filtro tra il caos della rete e il cervello del piccolo studente. «Frequentano gli schermi interattivi fin dalla nascita», spiega Paolo Ferri, docente di Tecnologie didattiche e teoria e tecnica dei nuovi media all'Università Bicocca di Milano, «e considerano internet il principale strumento di reperimento, condivisione e gestione dell'informazione». È la prima generazione (che oggi ha tra gli 0 e i 12 anni) veramente hitech, che pensa, apprende e conosce in maniera differente dai suoi fratelli maggiori. «Se per noi imparare significava leggere-studiare-ripetere, per i bambini cresciuti con i videogames vuol dire innanzitutto risolvere i problemi in maniera attiva», prosegue Ferri, che studia e promuove da anni il «digital learning». I bambini cresciuti con consolle e cellular
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    Collegato al tema dei nativi digitali e, in particolare, alla loro formazione segnalo l'interessante libro di George Veletsianos "Emerging technologies in distance education". George Veletsianos è un assistente professore di tecnologia didattica presso l'Università del Texas. La sua ricerca e gli interessi di insegnamento comprendono la progettazione, lo sviluppo e la valutazione di ambienti di apprendimento digitale, con particolare attenzione alla formazione per mezzo di personaggi virtuali, tecnologie emergenti, e all'esperienza dello studente. Questo libro, disponibile in Creative Commons Licence su www.aupress.ca, mette in mostra il lavoro internazionale di studiosi di ricerca e professionisti della formazione a distanza, che utilizzano emergenti tecnologie interattive per l'insegnamento e l'apprendimento a distanza. Esso raccoglie le conoscenze disperse di esperti internazionali che mettono in evidenza fattori pedagogici, organizzativi, culturali, sociali, ed economici che influenzano l'adozione e l'integrazione di tecnologie emergenti nella formazione a distanza. Emerging technologies in distance education fornisce una consulenza di esperti su come sia possibile lanciare efficaci e coinvolgenti iniziative di formazione a distanza, in risposta alle innovazioni tecnologiche, cambiando mentalità e le pressioni economiche e organizzative. Il volume va oltre l'hype che circonda le tecnologie Web 2.0 e mette in evidenza le questioni importanti che i ricercatori e gli educatori devono prendere in considerazione per migliorare la pratica educativa.
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    Beh che dire questo articolo è attinente al programma di Psicotecnologie e si riallaccia a quanto detto dal Prof. De Kerckhove nella sua lezione "is Google making us stupid?". Le conclusioni a cui arrivano i due Prof sono simili. Il Multitasking non ci rende più stupidi come invece sembrerebbe emergere da uno studio della Stanford University condotto su di un campione di 100 studenti. Nel mio piccolo devo ammettere che condivido le posizioni di Jacobs emerse in questo articolo (già condiviso per altro da un altro collega) :http://www.corriere.it/cronache/10_maggio_23/multitasking-rodota_b6937564-6685-11df-b272-00144f02aabe.shtml Jacobs riprende un po' quanto detto da Carr e cioè che il multitasking non ci rende migliori ma semplicemente ci fa fare più cose assieme e tutte, in un certo qual modo,"male". Il termine "male" va spiegato un po' meglio, con il multitasking facciamo più cose assieme e le facciamo peggio di come le faremo se ne facessimo una alla volta, in questo senso ho usato il termine "male". Secondo me il punto centrale, parlando di multitasking, è che la nostra società oggi ci obbliga a far più cose simultaneamente e se per certi studiosi questo ci porta a fare più cose in modo peggiore è anche vero, come dice il Prof.De Kerckhove, che quest'abilità è prerogativa delle nuove generazioni. In ultima analisi, oggi dobbiamo saper fare un po' tutto (mandare email, usare la chat, navigare in internet ecc...) e se questo ci rende un po' meno capaci "nello specifico" è un sacrificio da poter fare in nome dell'evoluzione tecnologica.
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    Su BBC news del 20 Novembre, nell'articolo "What makes us intelligent?" si parla di un argomento simile anche se lo studio non parla solo delle nuove generazioni, quelle cosiddette 2.0 . Lo strumento digitale ci rende più stupidi? Anche qui viene rilevato che non memorizziamo più le cose come un tempo, non tanto per ridotta capacità quanto per una naturale efficienza mentale: perché usare tempo e spazio per attingere a cose facilmente reperibili con altri strumenti? Il filosofo Andy Clark ha definito gli uomini "natural born cyborg" dato che riescono ad integrarsi e incorporare i nuovi strumenti che la tecnologia ci può offrire per sfruttarli e magari nel frattempo allargare le nostre competenze, occuparci di più tasks, e non è detto che sia in maniera più superficiale.
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    Allora io sono un "immigrato digitale" ! Come molti ho assistito ai primi pc (da bambino giocavo con il commodore 64 e a scuola ci facevano fare dei test con un programma grafico chiamato "tartaruga" , una sorta di triangolo verde che segnava linee sullo schermo), ricordo le prime piattaforme per videogiochi, il modem a 56k, i primi video presenti in rete, etc Assecondare le tecnologie non è sempre stato facile perchè occorre sempre un fuoriuscire da ciò che si conosce (ammetto l'estraneità -ma anche il divertimento- che ho provato la prima volta che a casa d'amici ho usato una Wii), un testare cose nuove che magari ritenevi per se inutili (quando è merso il cloud inizialmente mi sono chiesto "ma perchè questa cosa?, ci vogliono controllare meglio?"...a pensarci oggi viene quasi da sorridere) Ritengo utile quindi creare un ponte tra "nativi digitali" e "immigrati digitali", non tanto perchè ci spieghino come funzionano le tecnologie (magari le usiamo megli di loro) ma per cogliere le differenze di visione, d'umanità e di prospettive che ci possono essere tra generazioni diverse
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    Sarei curioso di vedere l'effetti di questa nuova digitalita' fra 30-40 anni, sentendo parlare esperti del rorschach la nostra intelligenta, di Italiani, e' peggiorata tantissimo, abbiamo perso l'intelligenza operativa di fare le cose, l'accuratezza di ricercarle e avere pazienza di farlo! Spero che sia solo un catastrofismo personale di chi ha detto questa cosa, ma ogni cambiamento non puo' per forza di cose portare solo vantaggi... magari...
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    Personalmente non ritengo che l'intelligenza digitale, e quindi google e tutti i social network, ci rendano stupidi. E' solo un modo diverso di fare comunità, condivisibile o meno a seconda dell'età e contesto sociale. Certo dalla nostra generazione(40enni) a quella dei nostro figli 12-16enni, molto è cambiato. Io facevo le ricerche sulle enciclopedie che disponevo in casa, per poi trascrivere il tutto a penna sul quaderno, ora base dati il network, e con un rapido ctrl c, ctrl v, si ha subito ed in maniera eficiente una qualsiasi ricerca. Certo un pò di abilità di come muoversi nel web ci vuole. Però ci dobbiamo adeguare ai nuovi sistemi che ormai sono parte integrante del nostro vivere, conoscere e relazionarsi.
anthonella

Cos'è l'Intelligenza Artificiale | Accenture - 2 views

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    Artificial Intelligence La nostra selezione di contenuti curati, report e guide racconta l'intelligenza artificiale e come essa può aiutare a generare valore per il business.
anthonella

Artificial Intelligence La nostra selezione di contenuti curati, report e gu... - 1 views

https://www.accenture.com/it-it/insights/artificial-intelligence-summary-index?c=acn_glb_brandexpressiongoogle_12871322&n=psgs_0322&gclid=EAIaIQobChMI5fD_j5DE-AIVVZ3VCh2AjwjEEAAYASAAEgICBfD_BwE

#intelligence

started by anthonella on 23 Jun 22 no follow-up yet
EMANUELA PSICOTECNOLOGIE

II ARGOMANTO :NATURA DELL'INTELLIGENZA - 0 views

Emanuela D'Agostino

started by EMANUELA PSICOTECNOLOGIE on 20 Nov 12 no follow-up yet
maria cristina corona

Siri, la segretaria virtuale - 4 views

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    Un articolo in cui sono state oggetto di test le funzionalità di Siri, la novità di iOS6 di Apple. Non un semplice riconoscitore vocale ma una vera e propria intelligenza artificiale, in grado di ascoltare e interpretare discorsi complessi, di interagire con gli applicativi e di comprendere comandi in sequenza.
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    lo strovo uno strumento straordinario...sorprendente per i poco addetti, linkato sicuramente al concetto di multitasking
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    Una sorta di segretaria "particolare" che coniuga l'intelligenza artificiale con la ricerca semantica. Una splendida App che appassiona il mondo della mela e che è in aperta concorrenza con Voice Search del colosso Google (Voice Search sarà inizialmente solo in inglese e disponibile soltanto in America) http://techwayblog.com/siri-vs-google-voice-search-video-battaglia-fra-lassistente-vocale-apple-e-quello-google/ #Intelligence #Multitasking
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    C'è ancora molto da migliorare, tuttavia è già un primo grande passo verso un'intelligenza artificiale sempre più raffinata. Con software così avanzati, quella che può sembrare un'esagerazione del Prof. De Kerckhove (quando nella lezione nr. 5 dice: "se, secondo Havelock la scrittura e la lettura hanno liberato la mente dalla necessità di ricordare, lasciando spazio per l'innovazione; potrebbe accadere che i nuovi media ci liberino dalla necessità di pensare mentre il software lo fa per noi"), in realtà sembra una profezia molto vicina a ciò che potremmo vedere con i nostri occhi da qui a qualche anno.
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    In un spot americano dedicato a SIRI John Malkovich con un'aria particolarmente ispirata, chiede a SIRI cosa pensa della VITA: SIRI risponde enunciando alcuni concetti che sono alla base dell'esistenza umana e della convivenza tra individui in reciproco rispetto ad armonia. Malkovich si complimenta con lei per l'eloquenza dimostrata, e SIRI, prontamente ringrazia per il compliemnto appena ricevuto, comprendendolo come tale. Questo spot dimostra molto bene come SIRI non sia un semplice sistema di comando vocale (come molti, che ancora non l'hanno mai usato, credono). Incredibilmente, ma realmente, con SIRI è anche possibile fare un discorso, delle riflessioni, insomma, appare realmente dotata di un'intelligenza artificiale.
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    L'aspetto importante di SIRI è che il programma di intelligenza artificiale alla base dell'applicazione, non "apprende" soltanto dalla persona che gli parla (quindi il proprietario dell'iphone o Ipad) ma da tutta la rete, cioè da tutti coloro che nel mondo adoperano SIRI. Pertanto il bagagio di nozioni aumenta a velocità esponenziale. Non sono un cliente Apple ma sentendo i commenti di coloro che l'adoperano è palese che Siri sta entrando nella loro vita in quanto è come se fosse in atto una gara tra l'uomo della strada e la macchina. Il proprietario di un Apple si sente di far parte di una community (come gli scienziati nei centri di ricerca magari visti in qualche film) che può apportare con le sue capacità il miglioramento della scienza. E' questo apporto / gara si esplica nel continuare a chiedere a Siri frasi particolari, dove bisogna che Siri interpreti ciò che si vuol dire (esempio "devo mettere il cappotto per uscire"). Molte di queste prove vengono filmate e postate su Youtube (secondo me a significare che la tale persona ha insegnato a Siri qualcosa) e tutto ciò fa si che Siri continui ad apprendere sempre di più. Ancora una volta la Apple ci ha stupito con un qualcosa che è diventato di dominio mondiale
ornella corrado

"I meridionali sono meno intelligenti" - Corriere della Sera - 4 views

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    Richard Lynn, docente emerito di psicologia all'università dell'Ulster a Coleraine, in Irlanda del Nord, è famoso per le sue teorie a dir poco provocatorie.Su " Intelligence " ha pubblicato un articolo dal titolo: «In Italy, north-south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature and literacy» («Le differenze nel QI tra nord e sud Italia corrispondono a differenze nel reddito, educazione, mortalità infantile, statura e alfabetizzazione»)
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    Commento da meridianale!!!!!! C'è da essere allibiti quando si sentono simili dichiarazioni, si può subito cadere nella tentazione di vedere tutto in chiave razzista ma non è così. Bisogna guardare le cose con logica questo signore che si dice un docente emerito è in realtà un emerito "ignorante del suo campo" e questo lo scrive uno che ha appena la terza media, ma che sà benissimo cosa è il metodo scientifico. Uno il signor Coleraine ha messo in evidenza che ad eguali redditi corrisponde un q.i. più basso ma lui ha riprodotto eguali condizioni socio-ambientali per tutti i campioni su cui ha basato la sua analisi? Sicuramente no , se lo avesse fatto avrebbe dovuto considerare che in sicilia la ventata innovativa della rivoluzione francese non è arrivata, che pur moderna ha una società di tipo medievale, organizzata in caste dove la meritocrazia non fà emergere le sue migliori intelligenze, che non ha servizi che diano a tutti pari opportunità, che chi ha un posto ad alto reddito in Sicilia con le dovute eccezioni non è chi lo merita, ma chi è introdotto nell'ambiente che conta per famiglia, conoscenza o altro. Avrebbe dovuto considerare che all'estero e fuori dalla Sicilia dove i Siciliani hanno avuto pari e favorevoli opportunità hanno molte volte primeggiato sugli altri, anzi se andiamo a guardare con percentuali superiori alla media degli altri popoli. Per quanto riguarda il suo razzismo , io sono orgoglioso di ogni parte della mia identità genetica, sia araba, che fenicia, che normanna, che latina, e non voglio scendere alle sue bassezze ma come dovrei considerare lui e la sua gente che si è ammazzata in modo incivile per futili motivi religiosi, forse dovremmo considerare lui e i suoi dei portatori di handicap?
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    a parte le facili critiche, tali teorie si smontano con l'approccio scientifico. sicuramente saranno basate su metodologie a dir poco ortodosse. sarebbe inoltre interessante capire quanti degli esaminati al nord erano effettivamente del nord e non magari meridionali, dal sangue meridionale e solamente trapiantati al nord. magari la teoria si trasformerebbe che in "e' l'aria del nord che rende piu' intelligenti".
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    I test intellettivi sono tarati su individui che appartengono alla classe media e alla razza bianca. Questo significa che persone di basso ceto o di razza nera ottengono mediamente QI più bassi, anche se la loro intelligenza non è affatto inferiore. E' un limite dei test, non della gente. Le capacità che misurano riguardano fatti o abilità che si imparano in alcuni ambienti culturali. In ambienti diversi, si apprende altro. Perciò, un test psicometrico non misura quanto sei intelligente, ma quanto fai parte di una determinata cultura. Qualunque studente di psicologia lo sa ma al Prof. Lynn, che insegna proprio questa materia, nessuno lo ha ancora spiegato. Emerito Prof! Stai attento che al prossimo esame i suoi stessi allievi saranno costretti a bocciarla! . . . . . . Benvenuto al SUD (Salerno).
Rosanna Di Gioia

Cognizione distribuita - 5 views

Grazie Ylenia. Cercavo una sintesi per il concetto di cognizione distribuita e ho trovato il tuo contributo interessante. Mi permetto di aggiungere altri autori, menzionati da De Kerckove in una vi...

#DistributedCognition

Rocco Massimo Palumbo

Un neurone o un miliardo di neuroni: dove sta l'intelligenza? - 2 views

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    L'interconnessione in rete di una moltitudine di entità elementari è in grado di far emergere un comportamento globale organizzato, apparentemente intelligente. Esempi classici sono l'alveare o il formicaio. Questo fenomeno tuttavia accade anche nel nostro cervello, dove centinaia di miliardi di sinapsi creano un meraviglioso centro di controllo capace di farci adattare a situazioni imprevedibili e di rispondere (nella maggior parte dei casi) in modo "intelligente". Oggi, stiamo iniziando ad applicare questi principi (auto-adattamento, auto-organizzazione) anche nelle reti, sempre più complesse, di comunicazione, nei computer, in grado di rendere i robot sempre più capaci di comportamenti autonomi, e negli ecosistemi del mondo economico. Questo ciclo di incontri esplorerà quanto conosciuto e le più recenti ipotesi nella scienza dell'intelligenza naturale ed artificiale. L'intelligenza si basa su pochi semplici principi matematici o su un'enorme diversità di processi? Lo sviluppo di un cervello artificiale globale ci aiuterà a risolvere i grossi problemi del pianeta?
ilariasanna

Sucessful intelligence - 2 views

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    Ho trovato questa intervista un interessante spunto di riflessione per educatori, genitori e docenti. La missione dell' educatore e dell'insegnante, infatti, è quello di formare gli alunni sotto tutti i punti di vista e gli aspetti dell'intelligenza: per farlo, come afferma Stenberg, dovrà individuare anche la struttura dell'intelligenza dell'alunno, ovvero capire qual è il modo a egli/ella più congeniale per imparare. La teoria triarchica dell'intelligenza di Stenberg si concentra su ciò che definisce "intelligenza di successo" che è composta da tre elementi: intelligenza analitica ( capacità di risoluzione dei problemi), intelligenza creativa (capacità pregresse per affrontare nuove situazioni) e intelligenza pratica (la capacità di adattarsi ).
paola corongiu

Intelligenza divergente e pensiero laterale - 2 views

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    Un video divertente, ma significativo, che ci fa riflettere sulla geniale intuizione di Edward De Bono: abbandonare il pensiero verticale e sviluppare la nuova creatività del pensiero laterale, fuori dagli schemi; utilizzare l' "intelligenza pratica e divergente". Non si tratta di nessuna delle 7 forme di intelligenza elencate da Gardner e nemmeno dell'intelligenza emotiva di Goleman, ma dell'intelligenza divergente, tipica dei creativi, di fondamentale importanza, a mio avviso, perchè, come diceva De Bono: "L'intelligenza è una potenzialità, il pensiero invece è un'abilità. E' per questo che abbiamo bisogno della creatività." Vi allego anche un link per leggere un aneddoto esemplificativo tratto dal libro di De Bono "Il pensiero laterale" : http://www.riflessioni.it/semplici_curiosi/pensiero-verticale-laterale.htm
Rocco Massimo Palumbo

Verso un cervello artificiale globale - 6 views

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    Una diffusione di uno strumento di interazione sociale con il Web offre grandi opportunità. Pensate ad esempio al fenomeno del crowdsourcing. Il termine indica la pratica sempre più diffusa di consultare una comunità vir¬tuale di persone per la ricerca di soluzioni, idee e contenuti. Il Web da solo tuttavia, per quanto sconfinato, svolge un ruolo alquanto passivo di sem¬plice deposito, sia pur sterminato, di informazioni, contenuti, conoscenza. I mo¬tori di ricerca sono piuttosto 'stupidi': non sono in grado infatti di comportarsi in modo attivo: ad esempio, effettuare associazioni tra concetti (come, ad esempio, avviene nel cervello umano). Gelernter propone un nuovo approccio che chiama flusso vitale: "Un flusso vitale è una sequenza di ogni sorta di documenti organizzati dal più vecchio al più re¬cente, che continua a crescere via via che arrivano nuovi documenti, semplice da navigare e da ricercare, e con un passato, un presente e un futuro che appaiono sul nostro schermo [...] un flusso scorre perché scorre il tempo, e viene gestitousando due controlli fondamentali: "inserisci" e "focalizza", che corrispondono più o meno all'acquisizione di un nuovo ricordo e al recupero di uno già esistente".
Romina Mandolini

Intelligenza e tecnologia - 2 views

  • Dyson: We have to wait and see. But I am not sure whether computers are just tools. When you look at your iPhone to get directions, are you asking the phone where to go or is the phone telling you where to go? You cannot draw a strict line between active and passive information exchange. If some alien form of life came to earth, they might be convinced that there is a bodiless form of intelligence that is telling its constituent parts to turn left or right. So there is a symbiosis that works both ways.
  • Dyson: Right. We now live in a world where information is potentially unlimited. Information is cheap, but meaning is expensive. Where is the meaning? Only human beings can tell you where it is. We’re extracting meaning from our minds and our own lives.
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    "…non sono affatto sicuro che i computer siano solo strumenti. Quando guardi il tuo iPhone in cerca di un'indicazione stradale, sei tu che stai chiedendo all'Iphone dove andare o è il tuo telefono che te lo sta dicendo? Non si riesce a tracciare una linea netta che divida l'attivo e il passivo in questo scambio di informazioni. Se una forma di vita extraterrestre arrivasse sulla Terra, potrebbe convincersi che esiste una forma di intelligenza incorporea che ordina a dei corpi di girare a destra o a sinistra. È una forma di simbiosi che lavora in maniera biunivoca." Segnalo come secondo intervento, questa bella intervista al prof. George Dyson (autore del libro "L'evoluzione delle macchine. Da Darwin all'intelligenza globale"), sull'intelligenza e sulle trasformazioni cognitive che le tecnologie stanno apportando. Mi piace l'accento che egli pone sull'intelligenza umana, sulla sua unicità e specificità. Utilizziamo la tecnologia ma attenzione a non lasciare che sia lei ad usarci. Sembra un'affermazione banale ma non lo è visto che i confini tra umano e artificiale, sistema nervoso e artefatti tecnologici, sono sempre più labili.
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    Romina l'accento che poni sulle riflessioni del prof Dyson è largamente condiviso e mi ha fatto tornare alla mente alcune tematiche affrontate dal sociologo francese J. Baudrillard. (E' l'oggetto che vi pensa). "L'intrattenimento, l'informazione e le tecnologie comunicative creano l'attuale forma sociale dell'iper-realtà, fornendo esperienze più intense e coinvolgenti, rispetto alle banali scene ordinarie della vita quotidiana, e nuovi codici e modelli interpretativi. L'iperreale, per paradosso, è più reale del reale e controlla e domina il pensiero e il comportamento attraverso la proliferazione e la diffusione di un flusso incontenibile di immagini e segni, che spingono l'umanità a fuggire dal deserto del reale, per sperimentare l'estasi dell'iperrealtà, attraverso il nuovo regno dei computer, dei media e dell'esperienza tecnologica."(EduEDA)
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    L'intelligenza artificiale è destinata a far parte in modo sempre più incisivo delle nostre esistenze, trovando scopi e applicazioni nel mondo del lavoro, dell'istruzione, dell'assistenza, dei traporti
s-marcandalli

Le connessioni potrebbero essere la chiave dell'intelligenza - 2 views

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    Questo articolo illustra come una ricerca finananziata dall'Unione Europea sul cervello, abbia contribuiti a cambiare il paradigna dell'intelligenza, prima attribuita alle strutture cerebrali dei lobi prefrontali e parietali, attribuendola alle connessioni funzionali che si instaurano tra le diverse aree cerebrali: prefrontali e parietali con altre strutture corticali e subcorticali. Tale studio è stato condotto da un centro di ricerca situato a Francoforte, utilizzando la fMRI sul campione di soggetti coinvolti nella sperimentazione mentre eseguivano il test di intelligenza WAIS. Il cervello è un organo affascinante e misterioso al tempo stesso, sarà interessante vedere come le Neuroscienze sveleranno i suoi segreti negli anni a venire.
martinam95

The relationship between emotional intelligence and leadership in school leaders - 1 views

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    L'intelligenza emotiva come chiave di una leadership efficace. Autori: Raquel Gomez-Leal, Allison A. Holzer, Christina Bradley, Pablo Fernandez-Berrocal e Janet Patti.
anna colombo

La natura dell'Intelligenza - 42 views

'analisi che Goleman conduce sulla società americana avviene in un periodo storico equiparabile, per molti tratti, alla situazione italiana dal dopo guerra a oggi. L'atmosfera di crisi sociale...

#Intelligence

giulio barbieri

Il progresso...che ci rende stupidi. - 23 views

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    Interessante articolo sull'impatto che la tecnologia ha avuto sullo sviluppo cerebrale. Come una vita più comoda ci rende meno intelligenti. In sostanza.....più stupidi.
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    "Non siate schiavi del cellulare. Staccate un attimo. Prendetevi il tempo per passeggiare, per leggere un libro, ascoltare musica intensamente, parlare con qualcuno senza controllare il telefonino. Datevi modo di prestare attenzione, di concentrarvi, di riflettere: se smettete di farlo, perderete la capacità di farlo. Se non praticate l'intelligenza, ne avrete nostalgia" Nicholas Carr
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    Penso sia veramente difficile fare dei paragoni. Sono tempi diversi e in modi diversi, otteniamo impressioni contrastanti sul fatto che l'umanità stia diventando più intelligente o meno intelligente di prima. Il problema forse e dato dalla nostra l'esperienza personale che è sempre piu' miope. Vorrei far notare questo esempio per rendere questa idea piu' chiara. Il vocabolario veniva utilizzato come metrica per l'intelligenza. La ricerca ha dimostrato che è fortemente correlata al QI. Tuttavia, secondo uno studio del 2006, il vocabolario americano è stato in rapido declino dal suo apice, negli anni '40. Vi sono tuttavia alcune controversie, poiché è stato dimostrato che i test del vocabolario hanno una predisposizione culturale intrinseca. E' veramente complicato. Io spero di no ;)
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    Sicuramente affascinante come articolo,ma scientificamente di poca rilevanza a mio avviso, partendo dal fatto che ancora non si ancora cosa voglia dire "Intelligenza",quindi calcolarla la vedo ancora più difficile...Poi il paragone tra epoche storiche cosi lontane mi sembra assolutamente fuori luogo, è vero che gli errori si pagavano di più ma è anche vero che il tasso di mortalità era altissimo,assolutamente non paragonabile a quelli attuali...Einstein diceva che se si giudica un pesce da come si arrampica su un albero lui si crederà stupido per tutta la vita, quindi dobbiamo valutarci su come evitiamo la morte?...
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    Non penso che il progresso ci renda stupidi. Penso che le tecnologie, maggiori rappresentanti del progresso, possano fornire strumenti, ed è il loro utilizzo a fare la differenza tra sviluppo e impigrimento mentale. Possiamo disporre di una mole di informazioni incredibile, quello che ci manca, o meglio, quello a cui non prestiamo abbastanza attenzione, è il processo alla base delle cose. è inutile saper fare o saper dire una cosa se poi non se ne conoscono i fondamenti.
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    Io penso che il progresso possa sia rendere più "stupidi" che rendere più intelligenti, la differenza sta nel come viene utilizzato. Se utilizzato correttamente può aiutare ad aprire la propria mente, diversamente si avrà l'effetto contrario.
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    Il fatto di avere tutto a sempre a disposizione sicuramente ha delle conseguenze cognitive (mi viene in mente anche solo il fatto di utilizzare sempre la calcolatrice). Tuttavia, non per forza comodità è sinonimo di stupidità. La tecnologia ha portato a risultati mai ottenuti.
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    Come possiamo notare , chi proviene da ambienti svantaggiati ha quella "fame" di riscossa, forte motivazione e obiettivi chiari a cui protendersi, che spesso riesce a raggiungere la meta prefissata. A volte al contrario, chi proviene da ambienti più agiata tende a non essere così motivato a perseguire scopi.
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    Ho sempre preso "con le molle" questa teoria che sicuramente ha molto appeal giornalistico. La domanda che mi pongo è questa, l'intelligenza, su queste ricerche, viene sempre misurata allo stesso modo? Io vedo mio figlio di 6 anni e l'agilità con cui maneggia le appracchiature elettroniche è impressionante, io alla sua età non sapevo usare il telecomando. (a mia discolpa...quando io avevo la sua età i telecomandi non c'erano ancora) Ma, ad esempio, io alla sua età andavo a scuola da solo, a 6 anni attraversavo la strada ed andavo, ora è inconcepibile (oltre che illegale). Questi studi longitudinali hanno a mio avviso un difetto, quello di non segure l'evoluzione plastica del nostro cerebro.
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    Ho trovato l'articolo interessante. In particolare, ho apprezzato le argomentazioni di Elia Stupka, condirettore del Centro di genomica traslazionale e bioinformatica del San Raffaele di Milano, che ritiene che il progresso abbia apportato dei cambiamenti, ma non è detto che questi siano stati negativi. Dal suo punto di vista, la mancanza di selezione ha favorito la variabilità rendendoci più complessi e completi, ma senza poter stabilire cosa sia bene e cosa male. Probabilmente, dobbiamo attendere ancora qualche anno, per sciogliere il dubbio.
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    Articolo interessante. Ogni essere vivente sviluppa tecniche/strategie di sopravvivenza. Nel caso degli esseri umani probabilmente per quel miliardo di popolazione che vive dignitosamente e usufruisce del "progresso", la necessità di utilizzare risorse cognitive viene forse un po' meno.
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    A mio avviso il progresso non danneggia l'intelligenza; l'uomo ha un enorme spirito di adattamento che va di pari passo con il proprio stile di vita. Seppur "cambiamento" non è mai stato sinonimo di "miglioramento", l'uomo ha imparato ad usare la tecnologia là dove aveva delle limitazioni. L'evoluzione della sua specie, la selezione naturale dei soggetti più astuti ed il conseguente progresso tecnologico, ci preservano infinite possibilità di sopravvivenza. Grazie ad un'evoluzione psicologica e genetica, queste hanno permesso all'uomo di muoversi in una società molto complessa e di trasformarsi ed apprendere dalla propria esperienza.
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    ho letto l'articolo dettagliatamente e per questo mi sento di correggere parte delle considerazioni che sono state fatte nei commenti sopra riportati. Inanzitutto l'articolo riporta dei risultati condotti da studi sulla genetica, indicando come la tecnologia ampliando le possibilità di sopravvivenza dell'essere umano, abbia ostacolato la selezione naturale dei più intelligenti e astuti rispetto ai meno dotati cerebralmente parlando. Questo non vuol quindi che vi sia una connessione causale diretta tra l'uso della tecnologia e la riduzione della capacita intellettiva dell'essere umano, ma bensì questo mostra come l'utilizzo della tecnologia abbia alterato il funzionamento della selezione naturale. Nella parte successiva dell'articolo invece vengono illustrati gli effetti che la tecnologia abbia portato alla specie umana, che grazie al suo impiego ha avuto modo di sfruttare meglio le potenzialità del cervello, permesse dalla notevole plasticità di tale organo, che genera nuove connessioni funzionali grazie all'uso delle tecnologie. In sostanza, l'effetto collaterale che le tecnologie hanno causato alla selezione naturale, è stato colmato dalle nuove capacità cognitive che tali tecnologie hanno permesso di sviluppare.
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    Come la materia ci insegna le Tecnologie apportano dei profondi cambiamenti a livello del tessuto sociale. Questo fa si come riportato nell'articolo che "la selezione naturale non sia più così estrema". Credo che la tecnologia vada utilizzata e le persone vadano educate al suo utilizzo e nel suo utilizzo. Possiamo ricavarne grandi vantaggi. è importante rimarcare come le tecnologie ci permettono di mettere in atto un importate trasmissione delle conoscenze e permettere così che sempre più persone a livello globale possano accedervi e questo vale anche per la cultura, una cultura più aperta e alla portata di tutti. La tecnologia non sempre impigrisce i nostri sistemi di apprendimento ma in realtà ci mette nella condizione di poter leggere e approfondire in qualsiasi momento a portata di mano temi e argomenti che tempo fa avremmo dovuto ricercare ad esempio in biblioteca o nelle enciclopedie. Il progresso rende le società più complesse ma non per questo le peggiora.
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    La sopravvivenza cambia il suo concetto con il passare del tempo. Se prima soppravvivere voleva dire scappare dai predatori e assicurare la vita di sé e del proprio gruppo, ora sopravvivere vuole dire vuole dire essere economicamente stabile. Il minor sforzo cognitivo per accedere alla sicurezza della sopravvivenza ai giorni nostri, puó essere un punto positivo, non andando incontro a fattori di stress e patologie legate ad esso.
Pamela Rogiani

Il pensiero laterale: sei cappelli per pensare [E. de Bono] | Pensiero, Per, Che, Con |... - 4 views

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    Secondo De Bono affrontare i problemi con gli abituali metodi razionali produce risultati limitati dalla rigidità dei modelli logici. Per trovare soluzioni davvero innovative bisogna uscire dagli schemi prefissati, mettere in dubbio le presunte certezze e affidarsi ad associazioni di idee inedite.
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    Certamente pensare è la massima risorsa dell'uomo, una delle conquiste più recenti, una facoltà ancora giovane da mettere a punto. La difficoltà maggiore nel pensare ritengo sia la confusione. Spesso si tenta di fare troppe cose alla volta: informazioni, emozioni, logica, aspettative ecc. Si affollano in noi e confondano la mente. Credo che avere un metodo per pensare da applicare alla risoluzione dei problemi sia molto importante soprattutto nei gruppi di lavoro. Quello che mi lascia perplesso è l'applicazione del pensiero laterale alla vita di tutti i giorni, non sarebbe difficile applicare il pensiero creativo in "sé"ma trascinati dalla routine e dai nostri schemi strutturati ce ne dimentichiamo. Preconcetti e abitudini credo siano la resistenza maggiore al "buon pensare".
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