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Home/ Psicotecnologie e Processi Formativi - Uninettuno/ Group items tagged interni

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Marco Tambara

La cognizione distribuita ed il controllo del traffico aereo!!!! - 2 views

Una interessante analisi della cognizione distribuita applicata al controllo aereo. Per riallacciarmi segnalo (per chi non l'avesse già visto il film Falso tracciato di Mike Newell del 1999, ambien...

#DistributedCognition

ANNARITA ANNARITA

Ogni tecnologia della comunicazione instaura un rapporto "ecologico" e simbiotico con i... - 0 views

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    Articolo interessante su come le tecnologie possono coinvolgere i processi interni della menteed essere determinanti nell'evoluzione della cultura. Ogni innovazione nella tecnologia della comunicazione promuove riorganizzazioni sensoriali e cognitive che trasferiscono una serie di compiti e funzioni interne (mentali) su supporti esterni (fisici), favorendo un alleggerimento del carico cognitivo e un conseguente aumento del grado di benessere. Una nuova tecnologia della comunicazione può rappresentare una minaccia per un assetto cognitivo e culturale consolidato, può diventare il luogo privilegiato di proiezione delle speranze e dei timori riguardo ai possibili sviluppi futuri della società e della cultura. Ma anche spunti di riflessione che convergono verso una definizione di una "ecologia mediale" che, come afferma Calvani, esprime " la necessità di sviluppare un soggetto equilibrato evitando forme di "malnutrizione cognitiva" (eccessi, obesità mediale, o all'opposto scarsezza, assenza di familiarità con alcuni media). Abbiamo bisogno di progettare il contesto educativo con molta saggezza: esperienza diretta, guidata, dialogo, libro, televisione e computer devono trovare il giusto equilibrio nella vita di ciascuno.
Daniela Cerbone

Nell'era di Facebooksiamo siamo tutti Pinocchio - 6 views

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    Presi nel vortice di computer e social network, noi siamo dei Pinocchio 2.0
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    L'articolo che riporta stralci dell'intervista con De Kerckhove è molto interessante perchè cita moltissimi dei temi che affronta nelle videolezioni del corso, tuttavia mi è rimasta particolarmente impressa la rilettura della favola collodiana che rappresentava già all'epoca la metafora dell'uomo che a quei tempi abbandonava le campagne toscane per disumanizzarsi e diventare burattino. A quei tempi l'uomo abbandonava l'autorità dell'eterno ieri fondato sulla famiglia tradizionale per entrare nel mondo industrializzato, lo ha fatto pagando un prezzo molto "salato" che è stato aver perso la bussola della tradizione ed essersi dovuto ricostruire un modo per orientarsi che faceva perno su se stesso, un nuovo pensiero "positivo" insomma. E' quindi estremamente interessante pensare al fatto che anche oggi stiamo vivendo una rivoluzione di quella portata, anche oggi nel passaggio dall'era industriale all'era digitale 2.0 stiamo affrontando un cambiamento paradigmatico che ci porterà a rivoluzionare completamente il nostro pensiero. Credo che i recenti avvenimenti politici italiani, così come la primavera araba, ne rappresentino importanti prodromi. La stessa "resistenza al cambiamento" che da più parti si solleva è un'altra "spia" significativa del fatto che è in atto un cambiamento imponente che trasformerà completamente la nostra società.
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    Chiara, il modo con cui ti sei espressa mi ha ricordato il prof. Ferrarotti: hai seguito il corso di Sociologia? :) Ho letto l'articolo, ci sono due punti specifici che toccano questioni che ho particolarmente a cuore. La prima questione è l'importanza della fisicità, del contatto reale: «Anche se presto avremo doppi digitali, i rapporti umani in carne e ossa non diventeranno obsoleti. Non stanchiamoci di coltivarli». Saggio consiglio questo di De Kerckhove. Mi viene tanta tristezza quando leggo che: «Circa un terzo delle attività commerciali che si svolgono in Second Life sono di natura sessuale e spaziano dall'acquisto di 'skin' di genitali a servizi paragonabili alla prostituzione (Fulco, 2006)» (tratto da "Prima, Seconda, Terza Vita di Matteo Bittanti, pubblicato dal tutor in libri e articoli). La mia mente non riesce neanche a concepire quello che ho citato, mi sembra una malattia, per non dire una follia derivata dall'esasperazione della virtualizzazione. Spegnere il computer e incontrare le persone reali nel mondo reale mi sembra molto più sano. Far l'amore via Internet? No, grazie, preferisco un'esperienza vera sotto la Luna con il cielo stellato. Seconda considerazione: «C'è il rischio di impigrirci, delegando le nostre decisioni a strumenti sempre più complessi, che usiamo senza sapere come siano fatti. Oggetti come l'iPad a molti appaiono magici». Parole vere, purtroppo. Questi oggetti "magici", iper-tecnologici, oggi sono per molti qualcosa di sconosciuto, potente e quindi degno di venerazione. A tal proposito, tempo addietro avevo scritto alcune riflessioni, che qui ricopio: [copio nel commento successivo perché ho scoperto che c'è una lunghezza massima per i messaggi, che vengono tagliati]
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    «Quand'ero bambino, non esistevano né Internet né i cellulari (forse c'erano i primi Tacs) e i computer in casa erano una rarità. Ho avuto il primo computer a 14 anni e il primo accesso a Internet diversi anni dopo, non ricordo quando il primo cellulare... quindi, diversamente da chi è nato già con Internet in casa e il cellulare in mano, posso fare un confronto e distinguere bene ciò che reale e ciò che è virtuale, senza confondermi e senza che il secondo prevalga sul primo. Adesso ho 30 anni, quel che vedo è che Internet da una parte ha allargato enormemente le possibilità di "conoscenza" e di "informazione" (ricordo ancora i lunghi pomeriggi che da bambino passavo in biblioteca per cercare informazioni nelle enciclopedie e nei libri, adesso invece basta una ricerca di pochi secondi su Google o su Wikipedia), dall'altra però sta fisicamente separando le persone con strumenti tipo Facebook, che in quest'epoca è diventato il nuovo totem, il nuovo dio, l'oggetto di venerazione di quella massa di popolazione che è in gran parte all'oscuro dei meccanismi interni di funzionamento di quella stessa tecnologia che usa con disinvoltura e senza cautela. La comunicazione mediata (telefonate, sms, social, chat e quant'altro) snaturalizza le relazioni umane, tenendo separati gli individui. Ma l'essere umano ha bisogno di stare fisicamente vicino ai suoi simili, ha bisogno del contatto fisico, l'essere umano non è una mente separata da un corpo, né un individuo separato dal suo ambiente. Corpo e mente, individuo e ambiente sono insieme e devono rimanere insieme, altrimenti si genera e si accresce un malessere individuale e collettivo senza neanche averne la consapevolezza. Di cosa ha bisogno l'essere umano per vivere? Nutrimento, sia di cibo sia affettivo. Se un infante non riceve il latte, muore. Se un infante non riceve neanche una carezza dalla mamma, muore (ricordo che una ricerca l'ha dimostrato, anche se non ricordo quale ricerca fosse). Anche gli adulti ha
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    [continua dal commento precedente, perché me l'ha tagliato, non sapevo che ci fosse un limite per la lunghezza] Anche gli adulti hanno bisogno di nutrimento sia di cibo sia affettivo. Ma che tipo di nutrimento possono dare Facebook, Second Life e affini? Cibo sicuramente no, ma neanche sorrisi, abbracci o coccole. Da questo punto di vista, secondo me vale più una carezza di tutta Facebook, che considero promotrice di una degenerazione dei rapporti umani».
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    OT @Francesco: si Francesco ho seguito il corso di sociologia del prof. Ferrarotti, è stato l'ultimo esame dato nella scorsa sessione, le lezioni del professore mi hanno affascinato, la sociologia è davvero una regina fra le scienze....leggere i problemi della vita quotidiana alla luce del contesto sociologico aiuta davvero tantissimo, forse di più di quanto non riesca a fare l'approccio psicologico. Scusate la digressione Off Topic!!!!
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    Dissento da quanto scrive Francesco sul legame causale tra virtualità e malessere. Non escludo che il legame talvolta possa esserci (e ciò credo vada indagato in modo sperimentale per capire quali sono le possibili variabili intervenienti che determinano la correlazione), in linea generale però sarei molto cauto nel generalizzare. Il punto fondamentale, a mio avviso, sta nel fatto che i rapporti virtuali non vanno considerati e vissuti come surrogato dei rapporti reali, ma come complemento. La virtualità non è sostitutiva della fisicità, ma ne è un completamento che può essere fortemente arricchente. E quando De Kerckhove dice "i rapporti umani in carne e ossa non diventeranno obsoleti. Non stanchiamoci di coltivarli" non fa che confermare questo: non si tratta di liberarsi dei rapporti fisici a vantaggio dei rapporti virtuali, ma di trovare un modo per far coesistere gli uni e gli altri. Sono dunque convinto, soprattutto per esperienza personale, che i rapporti virtuali possano essere preziosissimi, perché privati di tutto ciò che è la comunicazione non verbale possono eliminare il vincolo dell'imbarazzo, della titubanza nel volersi mostrare per quello che si è, per via di un timore di matrice più o meno convenzionale. Un rapporto fisico non può che partire dall'apparenza, con cui dobbiamo fare necessariamente i conti, invece un rapporto virtuale può partire da tutto ciò che apparenza non è. Personalmente coltivo rapporti virtuali, ovvero con persone che contatto nei social network ma che vedo raramente o quasi mai, traendone un grandissimo beneficio. Non voglio dire che sia necessariamente così, né minimizzare i rischi che possono venire dalla virtualità, la mia conclusione è semplicemente che la generalizzazione del legame causale tra virtualità e infelicità a mio avviso è un errore: non è la virtualità in sé a costituire una fonte di problema, ma semmai l'interazione tra la virtualità e determinate predisposizioni.
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    come spesso succede parliamo di cose che vanno calate nella realtà e spesso partire da preconcetti e definizioni accademiche è sbagliato. Il malessere può nascere in base a determinate situazioni, che possono essere presenti e quindi enfatizzate dal virtuale o anche essere scatenati ex novo. Ogni cosa deve essere calibrata sulla personalità di ognuno, sono d'accordo con il commento precedente di gianluigi, il virtuale è un complemento del fisico, forse un'estensione del fisico. A mio parere il virtuale deve essere un supporto della vita vera, mai sconfinare in una sostituzione, seppure ridotta di questa.
Bruno Matti

Business intelligence - Wikipedia - 0 views

  • Le organizzazioni raccolgono dati per trarre informazioni, valutazioni e stime riguardo al contesto aziendale proprio e del mercato cui partecipano (ricerche di mercato e analisi degli scenari competitivi). Le organizzazioni utilizzano le informazioni raccolte attraverso una strategia di business intelligence per incrementare il loro vantaggio competitivo. Il termine Business Intelligence fin dall'origine ha ricompreso sia i più tradizionali sistemi di raccolta dei dati finalizzati ad analizzare il passato o il presente e a capirne i fenomeni, le cause dei problemi o le determinanti delle performance ottenute, sia i sistemi più rivolti a stimare o a predire il futuro, a simulare e a creare scenari con probabilità di manifestazione differente. Questi sistemi sono da sempre stati realizzati con mix differenti di software tools (ad es. di reporting, di analisi OLAP, di cruscotti) e di software applications, cioè contenenti vere logiche e regole applicative, rivolte al Performance Management (ad es. le applicazioni per le Balanced Scorecards o per il ciclo di budgeting e forecasting aziendale), all'ottimizzazione di alcune decisioni operative (ad es. nel campo dei trasporti e della logistica o del revenue management) oppure finalizzate alle previsioni e alle predizioni future, impiegando funzioni statistiche anche molto sofisticate; tutte queste software applications nel tempo hanno preso nomi diversi ma dal significato simile, quali Analytic Applications, Analytics, Business Analytics (si veda anche Davenport, 2007, 2010; Turban, 2010; Pasini, 2004). Il termine Business Intelligence allude quindi ad un campo molto ampio di attività, sistemi informativi aziendali e tecnologie informatiche finalizzate a supportare, e in qualche caso ad automatizzare, processi di misurazione, controllo e analisi dei risultati e delle performance aziendali (sistemi di reporting e di visualizzazione grafica di varia natura, cruscotti più o meno dinamici, sistemi di analisi storica, sistemi di "allarme" su fuori norma o eccezioni, ecc.), e processi di decisione aziendale in condizioni variabili di incertezza (sistemi di previsione, di predizione, di simulazione e di costruzione di scenari alternativi, ecc.), il tutto integrato nel classico processo generale di "misurazione, analisi, decisione, azione". Generalmente le informazioni vengono raccolte per scopi direzionali interni e per il controllo di gestione. I dati raccolti vengono opportunamente elaborati e vengono utilizzati per supportare concretamente - sulla base di dati attuali - le decisioni di chi occupa ruoli direzionali (capire l'andamento delle performance dell'azienda, generare stime previsionali, ipotizzare scenari futuri e future strategie di risposta). In secondo luogo le informazioni possono essere analizzate a differenti livelli di dettaglio e gerarchico per qualsiasi altra funzione aziendale: marketing, commerciale, finanza, personale o altre. Le fonti informative sono generalmente interne, provenienti dai sistemi informativi aziendali ed integrate tra loro secondo le esigenze. In senso più ampio possono essere utilizzate informazioni provenienti da fonti esterne come esigenze della base dei clienti, pressione stimata degli azionisti, trend tecnologici o culturali fino al limite delle attività di spionaggio industriale. Ogni sistema di business intelligence ha un obiettivo preciso che deriva dalla vision aziendale e dagli obiettivi della gestione strategica di un'azienda.
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    Con la locuzione business intelligence () ci si può solitamente riferire a: un insieme di processi aziendali per raccogliere ed analizzare informazioni strategiche. la tecnologia utilizzata per realizzare questi processi, le informazioni ottenute come risultato di questi processi. Questa espressione è stata coniata nel 1958 da Hans Peter Luhn, ricercatore e inventore tedesco, mentre stava lavorando per IBM.
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    Business Intelligence (B.I.) un software atto a produrre statistiche grafiche in modo flessibile e approfondito, più o meno autonomamente dai programmi di gestione aziendale. In altre parole: è il processo che consente di analizzare la miriade di dati accumulati nei sistemi aziendali per estrarne valide indicazioni per lo sviluppo del business, la riduzione dei costi e l'incremento dei ricavi. La Business Intelligence nasce per trasformare i dati in informazioni utili e per compiere indagini in modo facile e completo sulla propria base dati aziendale. Una buona soluzione di Business Intelligence deve anche essere in grado di consentire l'introduzione di dati teorici, per rispondere al quesito "what if...", ovvero "cosa succederebbe se...", praticando così vere e proprie simulazioni di scenari ipotetici per valutarne immediatamente le conseguenze. Generalmente nei programmi di Business Intelligence l'informazione viene organizzata in righe e colonne, consentendo di porre i dati che interessa esaminare anche su più livelli di profondità. Si può, per esempio, esaminare il venduto per agente/famiglie di prodotti e all'occorrenza svolgere il cosiddetto drill down, per scendere anche a livello di dettaglio del singolo articolo venduto per una certa famiglia. Le analisi possono poi essere tradotte in vario modo anche in termini grafici, fornendo facilmente diagrammi, torte, cruscotti, ecc. ecc. oppure produrre report stampati. La Business Intelligence è dunque uno strumento strategico formidabile per il management aziendale e si differenzia notevolmente dall'uso di prodotti generici (come Excel, per esempio o le classiche statistiche fornite dallo stesso ERP e realizzate tramiti appositi rigidi programmi) per l'estrema attendibilità dei risultati e flessibilità delle informazioni ottenibili. Non dimentichiamo che lo scopo è quello di fornire risposte alle varie indagini sull'andamento dell'azienda e basare certe decisioni su un errore in una formula di Excel p
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    Per conto di Telecom Italia mi sono anche occupato di curare presentazioni per nostri Clienti di B. I. Sicuramente è uno strumento utilissimo in grado di rielaborare tutti i dati aziendali e fornire risposte in base a delle quary di interesse. Risparmio chiaramente di tempo, e per tutte le Aziende il tempo è denaro, che puo' essere dedicato all'elaborazione di strategie di mercato ad es, messe in atto alla luce dei dati analizzati. I ritorni da parte delle PMI, e parlo per esperienza, è sempre stato positivo e il ROI sempre garantito.
rosa maria tafuri

Psicopedagogika - Psicologia e formazione - - Intelligenza - 6 views

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    Per Platone l'intelligenza è ciò che distingue le diverse classi sociali ed è distribuita da Dio in maniera diseguale. Aristotele sosteneva che tutte le persone, tranne gli schiavi, esprimessero facoltà intellettive più o meno uguali, e che le differenze fossero dovute all'insegnamento e all'esempio. Al giorno d'oggi esistono diverse concettualizzazioni di intelligenza.
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    L'intelligenza è la somma di variabili fattori, che come le note del pentagramma concorrono con diversi e variabili accenti a produrre e sviluppare la musica del nostro pensiero.
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    Io credo che, relativamente all'intelligenza, il problema stia nel giudizio di valore che viene dato alle diverse forme di intelligenza. Se una persona ha un'altissima intelligenza emotiva, per cui riesce ad interpretare e capire i segnali che un'altra persona manda, riesce a "capire" profondamente gli altri, non sarà mai valutata intelligente tanto quanto un'altra persona che risolve un difficile problema matematico, ma non sa capire nulla dei bisogni o delle emozioni degli altri. Perché? Perché ci hanno insegnato che l'intelligenza logico-matematica è "intelligenza", quella verbale è "capacità di parlare", quella emotiva è "bontà" o "comprensione". Non so quanto tempo ci vorrà perché le diverse intelligenze (motoria, sensoriale, musicale, insieme a quella spaziale, logico-matematica ecc) siano valutate alla pari. Non so se mai avverrà. Un'intelligenza musicale è altamente valutata se chi ce l'ha diventa un grande musicista. Altrimenti non è presa granché in considerazione. E la capacità di "essere felici"? E' idiozia o intelligenza all'ennesima potenza?!
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    I contributi sull'intelligenza sono stati molteplici, una definizione generale che ho trovato la definisce come: "quel processo mentale che permette di acquisire nuove idee e capacità che consentono di elaborare concetti e i dati dell'esperienza per risolvere in modo efficace diversi tipi di problemi". Spearman definisce l'intelligenza come un fattore di base comune a tutte le attività intellettuali, che chiamò fattore G. Thurstone e Guilford criticarono però la posizione di Spearman sostenendo invece che l'intelligenza fosse costituita da molteplici fattori di abilità mentale tra loro indipendenti. Sternberg ha cercato di sintetizzare queste diverse posizioni sostenendo che il numero dei fattori cambia con il crescere dell'età: si passa così da un'abilità intellettuale generale a vari gruppi di abilità. Gardner ha elaborato la teoria delle intelligenze multiple, secondo la quale non esisterebbe un'unica forma generale di intelligenza, ma distinti tipi di competenze (linguistica, musicale, spaziale, logico-matematica) ciascuna competente per l'elaborazione di uno specifico ambito di informazioni. Oggi si parla di intelligenza distribuita, si è ormai sviluppata la consapevolezza che molte parti dell'intelligenza sono distribuite, non si trovano nella nostra testa, ma risiedono anche nel contesto in cui viviamo. Ogni giorno utilizziamo strumenti e materiali per svolgere le nostre attività, libri, agende, sempre di più computer e strumenti informatici, ma soprattutto parte della nostra intelligenza distribuita sono anche gli altri individui. E prendendo spunto dalle parole di De Kerckhove arrivo ad un'altra forma di intelligenza, quella connettiva. Grazie alle nuove tecnologie gli schermi dei computer divengono "luoghi in cui il pensiero viene scritto, ma simultaneamente, anche luoghi il cui il pensiero viene condiviso e elaborato da diverse persone che possono incontrarsi da qualunque posto si trovino, quando vogliono per dare il proprio contri
ANNALISA PASCUCCI

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